Il carcere raccontato dalle incisioni dei condannati
Latina, i detenuti nel castello di Sermoneta tra il 1500 e il 1800: «La mia pena, un’ora di corda»
Bonifacio VIII, l’inferno e Dante. E se ammiriamo lo splendido castello di Sermoneta, in provincia di Latina, è merito di un Caetani, Gelasio, il quale, agli inizi del 1900, recuperò il castello del XIII secolo. Un affare di famiglia. Tranne la parentesi dei Borgia, che costruirono la Torre Belvedere, oggi location di una grossa novità artistica.
Da pochi giorni, le incisioni conservate nelle prigioni del castello sono visitabili grazie alla fondazione Roffredo Caetani. «Ripercorriamo la storia del Castello dal punto di vista dei carcerati», dice Tommaso Agnoni, presidente della Fondazione (https://www.giardinodininfa.eu/castello-caetani-di-sermoneta/).
Nella «sala dell’impiccatoia» si eseguivano le sentenze con «tratti di corda». «Non ho fatto niente, ma sono stato condannato ad un anno di pena e ad un’ora di corda», incide un detenuto; «Lasciato in aria per il tempo della pena», racconta Gianni Pesiri, consigliere della fondazione, che ha svelato 150 incisioni dei detenuti, dal 1500 al 1800, quando verrà meno il diritto feudale che consentiva al feudatario di condannare i sudditi. Le scritte
Una delle incisioni che sono diventate visitabili grazie alla Fondazione Caetani
Nel percorso, stemmi dei Caetani e pillole di sopravvivenza dei prigionieri. Sopra, l’agio e, sotto, la vita agra con Camerone e Camera separati da un muro. «Per tutto c’è il suo tempo e ogni cosa sotto il cielo accade nel suo momento». Citazione dall’ecclesiaste, che si accorda con: «Meglio un poco con riposo che le due mani piene a costo di fatica e afflizione dell’animo» tra i graffiti dal 1606 al 1634.
Nel primo piano del Torrione, le scritte lasciano il posto ai disegni: nelle «Camere pinte» con la Madonna dei sette dolori, intorno alla quale schizzi di soldati ricordano l’arrivo dell’esercito transalpino. Intanto, è praticamente pronto il documentario, Né a torto, né a ragione, di «148 Produzioni», cercasi storico per decifrare il tutto. «Dante Santarelli è autore di studi sulle scritture cinquecentesche: ma qui esistono sorprese continue», osserva Pesiri. E ricorda Fra Bernardino de Alimena — dal 1538 a San Sisto, in Calabria —, testimone oculare della strage dei Valdesi. «Mi pare che qui si esageri», si lamentò.
«Da quella lettera, Santarelli scopre come la grafia dell’iscrizione sia simile a quella lasciata sul portale del Camerone». Anche ai frati capita di lasciare testimonianze sui muri.