Camurri a Genova, storie di magnifici perdenti (come Fantozzi)
S i può descrivere un luogo in negativo? Certo, e magari è anche l’aspetto più curioso, il meno conosciuto. Il mirabolante viaggio di Edoardo Camurri nella provincia italiana ha fatto tappa a Genova (Genova ridotta a provincia?). Il racconto è iniziato in poesia con i versi di Litania di Giorgio Caproni letti dal «poeta di strada» Luca Bertoncini ed è proseguito con il ricordo ancora doloroso del crollo del ponte Morandi («Provincia capitale», Rai3, domenica e ora su Raiplay).
Ma il colpo di grazia l’ha dato il visionario, nella fattispecie il critico Giuseppe Marcenaro. Le tre parole scelte per descrivere la città erano: «maledizione» (la sfortuna storica della città), «fallimento» (la poesia di Montale, Sbarbaro, Caproni sublima gli insuccessi) e «maniman», espressione dialettale e metafisica che significa «non si sa mai».
Nella Genova descritta come capitale di magnifici perdenti, come città degli ultimi, anche la figura di Fantozzi acquista un nuovo senso: Fantozzi sa che la sua fama cresce in proporzione alla rogna e, «maniman», invece di sfidare le avversità si mette a corteggiarle, in una sorta di autocompiacimento, di drammatizzato masochismo di riporto. Nessuna sfortuna gli resiste, nessuna iella gli è estranea, nessuna tentazione a soffrire lo lascia indifferente. E poi c’è il mugugno, voce genovese di origine onomatopeica, entrata nell’uso attraverso il linguaggio marinaio. Significa espressione sommessa di scontento, lamento, brontolio. Tradizione vuole che i marinai di Camogli, per antico privilegio, avessero paga migliore e diritto al mugugno. Per gli altri marinai si trattava di scegliere fra due tipi di ingaggio: «con mugugno» o «senza mugugno». Chi firmava il primo contratto percepiva una paga inferiore, ma poteva lavorare mugugnando e lagnandosi.
«Genova che mi struggi. / Intestini. Caruggi. /Genova e così sia, mare in un’osteria».