Clémence come 007 La grande fuga della maratoneta nel suk marocchino
Calvin evita «di forza» i controlli antidoping
Da 007 a Indiana Jones, l’inseguimento a perdifiato per i vicoli di Marrakech (sicari alle calcagna, banchi della frutta rovesciati, vie di fuga improvvisate attraverso negozi di tappeti) è un classico dei film d’azione.
Ma lo scorso 27 marzo nella città marocchina succede qualcosa che va oltre l’immaginazione di Ian Fleming e Steven Spielberg. Tre tipi sospetti (due uomini, una donna) circondano minacciosi Samir Dhamani, sua moglie Clémence e il figlioletto Zakaria, cittadini francesi. Uno dei tre impugna una telecamera, l’altro un foglio di carta e una penna. Samir reagisce bloccando il più anziano contro un muro, strattonando l’altro e aprendo una via di fuga alla moglie che si dilegua in un battibaleno. Rapimento fallito? Aggressione a scopo di rapina?
No, controllo antidoping mancato. La donna in fuga, Clémence Calvin, nata 28 anni fa a Vichy, è tra le poche maratonete al mondo a contrastare il dominio delle africane. Argento agli europei nel 2014 sui 10 mila metri, si è ripetuta sui 42 chilometri nel 2018 a Berlino facendo impazzire i francesi. Donna, vincente, mamma da appena un anno. Quali migliori ingredienti per una storia sportiva? Il pubblico però non sa è che la Calvin è da anni la bestia nera della Afld, l’agenzia antidoping francese. I dati del suo passaporto biologico «ballano» in modo sospetto ma ogni tentativo di incastrarla con un controllo a sorpresa fallisce: Clémence sfrutta abilmente i tre «no show» concessi dal regolamento senza incorrere in penalità e trascorre (come tanti atleti europei) lunghi periodi di allenamento in Africa — assieme al marito Samir, mezzofondista dalle prestazioni in crescita mirabolante — tornando in Francia un attimo prima delle gare e ripartendo poche ore dopo. Né l’agenzia antidoping mondiale né la federazione internazionale di atletica sembrano avere denaro o voglia di andare a vedere cosa succede tra Marocco, Algeria, Namibia, Kenya e Sudafrica.
Quello che i coniugi Dhamani non hanno calcolato è un nuovo comma dell’ordinanza firmata dal presidente Macron un mese fa che aggiorna la legge antidoping francese autorizzando (unica al mondo) gli ispettori antidoping a operare anche all’estero. E così a metà marzo, con un volo da Parigi a Rabat, sulle tracce della maratoneta si lanciano due ispettori e addirittura il direttore dell’agenzia, Damien Ressiot, tra le menti più abili dell’antidoping internazionale. I tre scoprono
Sulle sue tracce Da anni l’atleta schiva i controlli: ogni tentativo di incastrarla con un test a sorpresa fallisce
che all’indirizzo indicato dall’atleta sul sistema di localizzazione per i controlli (sulle montagne di Ifrane) la Calvin è una perfetta sconosciuta ma tramite i servizi d’intelligence la individuano e bloccano al mercato di Marrakech, formalizzandole l’esame antidoping prima che lei si dia alla fuga in modo da far scattare il «mancato controllo» che per la legge sportiva equivale a una positività.
Clémence Calvin è tuttora irreperibile. Il suo avvocato, Arnaud Péricard, parla di «colossale equivoco» e giura che Clémence domenica prossima sarà alla partenza (come grande favorita) della Maratona di Parigi. L’afld è invece certa di sospenderla entro un paio di giorni e portarla in giudizio chiedendo il massimo della pena: quattro anni di squalifica. Il marito, oltre alla squalifica per favoreggiamento, rischia fino a un anno di carcere per aggressione e ostruzione alla giustizia. L’atletica francese (che in Marocco ha un centro di allenamento ) qualche domanda sui viaggi dei suoi atleti se la sta facendo.