INTERVENTI E REPLICHE
Il metodo sperimentale e la ricerca
Nei loro articoli Elio Franzini (Corriere, 26 marzo) e Alberto Mantovani (Corriere, 24 marzo) hanno lumeggiato punti importanti delle relazioni tra sapere umanistico e quello scientifico, ancorché altri aspetti siano rimasti in penombra. Occorre richiamare due nozioni essenziali alla comprensione di tali relazioni: il concetto di causa e il cosiddetto metodo sperimentale. Entrambi nascono prima nella «filosofia teoretica» e contribuiscono poi alla nascita dell’ epistemologia. Alla Patologia generale attiene lo studio delle cause delle malattie umane e della riproducibilità delle malattie in modelli sperimentali. Il concetto di causa, formulato incompletamente da Leucippo, è stato declinato differentemente da numerosi filosofi: da Aristotele fino ai fisici «quantistici», anche se Ockham e Hume lo abbiano denegato. Non è stato certamente un caso se Morgagni intitolava la sua opera De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (1761). Né è stato casuale se l’opera principale di Bernard rechi il titolo Introduction à l’étude de la médecine expérimental (1865). Per l’identificazione di un metodo per le scienze fisiche, la svolta venne da Galilei, il quale scrivendo a Cesi diceva «Noi non doviamo considerare che la Natura si accomodi a quello che parrebbe meglio disposto et ordinato a noi, ma conviene che noi accomodiamo l’intelletto nostro a quello che ella ha fatto, sicuri che tale essere l’ottimo e non altro». Da qui la nascita di ipotesi sperimentali da verificare o «falsificare» secondo Popper. Anche se il metodo sperimentale è stato attaccato da Feyerabend, esso nato per gli studi fisici, è stato poi applicato con successo alla medicina e altre scienze sperimentali.
Giuseppe Scalabrino, già ordinario di Patologia generale Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano Milano: le offerte di braccialetti
Ho letto con stupore che, secondo un lettore, nel centro di Milano una volta c’erano molti gruppi di africani che regalavano i braccialetti (per finta), ma oggi non ci sono più (Corriere, 23 marzo). In effetti, gli africani che fingono di regalare i braccialetti sono decine, e non esagero. Approcciano stranieri e italiani in visita a Milano e quando, a parer loro, la moneta ricevuta non è «sufficiente» reagiscono verbalmente. E la forza pubblica, sempre presente numerosa, non interviene. Forse perché non possono vietarlo?