TRA BORDATE E COMPLIMENTI PER GIUSTIFICARE IL LORO GOVERNO
C’è da chiedersi come mai lo scontro tra M5S e Lega sia a intermittenza totale o diplomatizzato. Risponde certamente a una tattica elettorale. Le due forze di maggioranza si devono distinguere tra loro e soprattutto il vicepremier Luigi Di Maio dalla Lega di Matteo Salvini per non regalargli voti. Ma anche quest’ultimo, oltre a criticare i suoi alleati, deve rivendicare le cose buone che l’esecutivo gialloverde avrebbe fatto: se non altro per giustificare il proprio ruolo e quello del suo partito.
Alla base di questo approccio confuso, tuttavia, si nota una preoccupazione più di fondo. Nel momento in cui M5S e Lega decidono di dirsi «la verità», finiscono per sottolineare comportamenti e scelte altrui che ciascuno disapprova. Per questo alla fine ricorrono a una fraseologia meno diretta. Non è solo questione di tenuta del governo: quello andrà avanti almeno fino alle Europee; e se fosse per Di Maio e Salvini anche dopo. Il problema è di rapporto con l’elettorato.
Quando Di Maio dice che Salvini non sta mai al Viminale per fare i selfie, o che dovrebbe preoccuparsi dei clandestini e non dei migranti disperati sulle navi delle ong, dice «più verità». Idem il vicepremier e ministro dell’interno leghista, quando rimprovera ai Cinque Stelle di bloccare i cantieri o di volere una misura assistenzialistica come il reddito di cittadinanza. Il problema è come vengono giustificate queste affermazioni.
E allora, ecco Salvini sostenere ieri che il reddito grillino «è una scommessa»: versione edulcorata delle parole precedenti. E Di Maio, scrivere al Corriere con toni tali da far dire a
La tattica
Il Movimento e la Lega sanno che uno scontro troppo duro alla vigilia del voto europeo può danneggiare entrambi
Mara Carfagna, di Forza Italia, che «gli fa le coccole». «Abbiamo idee diverse dal M5S», ammette Salvini.«ogni tanto c’è una divergenza di vedute. Ma in questi dieci mesi abbiamo fatto molte cose. E i sondaggi ci danno la maggioranza assoluta». «Siamo completamente diversi», è l’eco del Guardasigilli grillino Alfonso Bonafede. Ma entrambi sono obbligati a vantarsi del loro governo: anche se segna il passo.
Sui truffati dalle banche, Palazzo Chigi si è rassegnato al compromesso suggerito dal ministro dell’economia, Giovanni Tria, per evitare una procedura di infrazione della Commissione Ue. Sulla flat tax le divergenze si confermano forti, benché il premier Giuseppe Conte assicuri che «tutti vogliono realizzarla». Quanto all’autonomia di alcune regioni del Nord, slitterà e i governatori leghisti, sebbene in vetta ai sondaggi sulla popolarità, se ne rendono conto sempre di più. Nelle campagne elettorali, dire la verità è un azzardo. In questa, forse, più che in altre.