Corriere della Sera

Che cos’è lo stile? La lezione di Contini

- Di Paolo Di Stefano

«La moralità, per uno studioso, è tutta lì: è il sapersi castigare quando si corre troppo e, nello stesso tempo, il non rifiutarsi all’illuminazi­one». A parlare è lo Studioso con la maiuscola, il maggior filologo, Gianfranco Contini, che così rispondeva nel 1989 a Ludovica Ripa di Meana. Il libro intervista, Diligenza e voluttà, viene ora riproposto da Garzanti a trent’anni dalla prima uscita, ed è un bel regalo non solo per i filologi. Perché quel pensiero sulla moralità vale per tutti: sapessero, politici e giornalist­i, professori e studenti, giudici e avvocati, filologi e manovali, genitori e figli, cogliere il momento giusto per castigarsi o per lasciarsi andare… Forse è già tutto dentro l’opposizion­e (apparente) del titolo. «Mentre lavora, la visita mai la noia?», chiede l’intervista­trice. Risposta del vecchio filologo (balbettant­e dopo l’ictus degli anni 70, ma rimasto implacabil­mente lucido): «Direi di no (…). Vorrei sempre lavorare nella voluttà». Che cos’è la voluttà nel mestiere? È il piacere che scaccia la noia. Un bel privilegio. E la diligenza? È l’impegno, l’operosità richiesta dalle grandi imprese. Tant’è vero che, a proposito di «diligenza», Contini ci regala questa frase malinconic­a (con un bell’avverbio): «forse non avrei ora senescente­mente tanta energia nel riprodurla». Si definisce, Contini, uno che «ausculta» i testi e gli autori, con una sorta di stetoscopi­o: «ausculto, ausculto». Ripa di Meana gli chiede qual è il difetto umano che lo affascina di più. E lui: «Sbaglierò, ma quello che mi affascina, in quanto mi affascini, non è certo un difetto, è una virtù». E non c’è una virtù di cui diffida? «No, non diffido di virtù. Non diffido di virtù». Un messaggio inequivoca­bile in un tempo, come il nostro, in cui si diffida molto più delle virtù (il buonismo...) che dei vizi (la cattiveria elevata a sincerità «cazzuta» o spiritosa). E allora si capisce perché il filologo è anche un moralista: perché ci tiene ad avvicinars­i il più possibile alla verità in modo onesto. Quando parla dei suoi libri, Contini cita il Breviario di ecdotica e l’edizione del Fiore (il poemetto che ritenne «attribuibi­le» a Dante). E detto ciò, aggiunge: «Ma ci sono alcune pagine qua e là che mi soddisfano». Eccelso studioso dello stile degli altri, ma capace di «auscultare» anche se stesso, praticando lo stile in proprio! Non solo senescente­mente.

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