Corriere della Sera

Il calcio di Bernardesc­hi

Il tecnico: «Gli rompo le scatole perché cresca mentalment­e»

- Massimilia­no Nerozzi

Il senso del calcio per Federico Bernardesc­hi sembra uscito da un discorso di Rinus Michels, il padre del calcio totale, che qui ad Amsterdam nacque e regnò: «Per me, il pallone significa libertà, e sono convinto che un giocatore debba sapere ricoprire più ruoli». Ci fosse la macchina del tempo, saremmo dentro la Rivoluzion­e arancione degli anni Settanta, di cui l’ajax divenne icona. La buona notizia, per chi lo allena, è che «Fede» può combinare di tutto, comprese partite fantastich­e come quella contro l’atletico; quella cattiva è che può rivelarsi incostante, come in effetti è ancora, a volte.

E come diceva ieri Massimilia­no Allegri, dentro la Johan Cruyff Arena: «Bernardesc­hi ha fatto una bella partita anche contro il Milan — la riflession­e del tecnico juventino — ma io gli rompo sempre le scatole, perché a livello mentale non deve mai abbassare l’attenzione». Invece, ogni tanto, succede, come nel primo tempo di Cagliari, tra scelte sbagliate e sventole spedite in curva. Con l’allenatore che borbottava e si girava verso la panchina. Seguivano istruzioni: «Deve sbagliare meno passaggi e deve essere ancora più decisivo di quello che è».

Il che non è proprio immediato, quando ti trovi nella Juve: «Giocare in una grande squadra, ogni tre giorni e quando hai un solo risultato, non è semplice». Però, «Berna» ci sta riuscendo, partita dopo partita, facendo già meglio della prima stagione. In fondo, in quella che fin qui è stata la partita dell’anno, Juveatleti­co, Allegri ha scelto lui, e non Dybala. Come dovrebbe essere pure stavolta, ad Amsterdam.

La verità è che Allegri e Bernardesc­hi hanno affinità elettive, in materia di pallone, perché sono due abituati a fidarsi molto di fiuto e talento, e non sempre solo della fredda pianificaz­ione. Basta ascoltare il giocatore bianconero: «Il calcio può significar­e libertà — ripete spesso — e devo dire che sono contento di questo, anche se quello moderno è cambiato: c’è più atletismo e dinamicità». Quella corsa che infatti gli appartiene: «Sono qualità determinan­ti all’interno di una squadra, perché possono dare più soluzioni all’allenatore e ai tuoi compagni. E a me piace rendermi utile». Lui lo è alla Juve, dove è arrivato neppure due anni fa, eppure sembra starci da sempre, come attitudine al lavoro: «Questa è una società meraviglio­sa, è uno stile, che ha fatto della mentalità Talento Federico Bernardesc­hi, 25 anni, esterno offensivo, seconda stagione alla Juventus. Quest’anno 3 gol e 6 assist in 32 presenze fra campionato e coppe

(Getty Images) la propria fortuna». Il massimo, per uno che esercita il suo mestiere: «Credo che alla Juve un giocatore possa diventare qualcosa di speciale».

Da subito, per lui è stata una sfida, se appena arrivò in bianconero, dipinse i social di bianconero, appiccican­do una frase: «No pain, no gain», nessun dolore, nessun guadagno. Solo una questione mentale: «Ho sempre lavorato molto sulla mia testa, sulla

Originale

Un tipo eclettico anche nei tatuaggi, dalle parole di Gesù al volto di Audrey Hepburn

mia mentalità, e credo che questo abbia portato dei frutti e li stia portando». Come nella notte con l’atletico: «Quella gara ci ha dato consapevol­ezza, ma ora abbiamo un’altra sfida difficile, con l’ajax: a questo punto, ogni partita è una battaglia». Di fisico, anche: «Loro sono una squadra giovane e piena di talento e che sta benissimo: dovremo fare attenzione». Ma pure loro, a lui, vista la stagione che sta facendo: tanto da tirare in ballo ingombrant­i paragoni, un po’ De Bruyne, un po’ Bale. Attaccanti di sacrificio, che sanno coprire tutto il fronte, come si dice, e non consideran­o il gol un obbligo, ma neppure un diversivo. Un tipo eclettico, come i suoi tatuaggi, dalle parole di Gesù al volto di Audrey Hepburn. Dal Vangelo a Hollywood, è pur sempre una questione di «Fede».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy