Fotografato un buco nero Una svolta per la scienza
Provata l’esistenza degli oggetti previsti da Einstein. Il ruolo degli scienziati italiani
L’immagine di un buco nero: è la foto del secolo per gli astrofisici ed è la conferma della teoria della Relatività. Il ruolo degli scienziati italiani.
«Abbiamo visto quello che pensavamo fosse invisibile» ha annunciato con orgoglio Sheperd Doeleman dell’università di Harvard, in una conferenza stampa storica per l’astronomia a Washington. «Abbiamo raccolto la prima immagine di un buco nero» ha raccontato Doeleman, alla guida del progetto internazionale «Event Horizon Telescope» (Eht), creato per arrivare alla grande scoperta. Nello stesso istituto di Washington, nel 2016, era stata presentata la «cattura» della prima onda gravitazionale. Entrambi i fenomeni erano stati previsti da Albert Einstein un secolo fa e da allora disperatamente cercati e finalmente trovati grazie alle tecnologie sviluppate negli ultimi anni.
Il mostro celeste si trova nel cuore della galassia M87, parte dell’ammasso di galassie della Vergine. È distante dalla Terra 55 milioni di anni luce e
la sua massa è 6,5 miliardi più grande del Sole. Ruota come le lancette dell’orologio e genera un’ombra nera del diametro di quaranta miliardi di chilometri. In questo buio è nascosto il mostro, due volte e mezzo più piccolo, da cui non esce un raggio di luce. L’anello luminoso intorno è formato dalla materia che viene inghiottita e altra che viene espulsa.
Lo straordinario risultato è frutto di un progetto che ha mobilitato 200 ricercatori di tredici istituzioni degli Stati Uniti, dell’asia e dell’europa. Negli ultimi due anni le indagini erano concentrate su due obiettivi: la galassia M87 e il buco nero nel centro della nostra galassia, la Via Lattea, di cui avremo presto la prima foto. Negli Stati Uniti la National Science Foundation si è impegnata con un investimento di 28 milioni di dollari. L’europa ha partecipato con un finanziamento di 14 milioni di euro dell’european Research Council che ha garantito le ricerche di una sessantina di scienziati, cinque dei quali sono italiani dell’istituto nazionale di astrofisica e dell’istituto nazionale di fisica nucleare.
Negli anni si è creata un’imponente rete mondiale di radiotelescopi distribuita dal nord al sud del pianeta: uno è stato installato persino in Antartide. Tutte le parabole delle stazioni coinvolte unite insieme fra loro hanno formato un radiotelescopio virtuale grande come la Terra, che ha garantito una sensibilità di ricezione eccezionale della radiazione a microonde emessa dall’evento cosmico. Un record di sensibilità è stato raggiunto dai radiotelescopi europei dell’european Southern Observatory (Eso), installati in Cile, sulle Ande, nel sito di Chajnator Plateau nel deserto di Atacama a cinquemila metri di altezza. Il primo, «Alma», è formato da una schiera di 66 parabole di 7 e 12 metri di diametro. A questo si è aggiunto «Apex», anch’esso di 12 metri. Con entrambi hanno lavorato i nostri ricercatori, sviluppando anche i software necessari per interpretare le informazioni raccolte. Tutti i dati sono stati concentrati ed elaborati in due centri (il Mit Haystack Observatory negli Usa e il Max Planck Institute in Germania) dotati dei supercomputer necessari. E qui il fiume sottile delle informazioni si è trasformato nella prima fotografia di un buco nero, aprendo una nuova finestra di conoscenza nell’universo.
Il «mostro celeste»
È distante dalla Terra 55 milioni di anni luce e la sua massa è 6,5 miliardi più grande del Sole. Ruota come le lancette di un orologio