Haftar avvisa le ambasciate a Tripoli «Ho dato il via all’attacco, non vi tocchiamo»
Le truppe del generale con i megafoni: arrendetevi, appendete stracci bianchi. Iniziati i saccheggi
Sono momenti cruciali per la Libia in guerra. La vigilia di quelle che potrebbero essere ore decisive per la capitale, il maresciallo Khalifa Haftar avvisa le ambasciate straniere (tra cui quella italiana) e le organizzazioni internazionali che le sue truppe eviteranno di coinvolgerle nei combattimenti. E’ uno dei pochissimi segnali di limitato controllo delle operazioni militari in una situazione che peraltro offre tutti gli ingredienti del caos di violenza in cui ormai periodicamente scivola il Paese ad ogni risorgere delle tensioni dai mesi della sanguinosa defenestrazione del regime di Muammar Gheddafi nel 2011. «Questa notte o al massimo domani le colonne di Haftar daranno la spallata finale per conquistare il centro di Tripoli e sconfiggere una volta per tutte la coalizione di forze che sta difendendo il governo di unità nazionale del premier Fayez Sarraj», ripetono in coro commentatori e media locali. Tra i circoli diplomatici i messaggi dell’uomo forte della Cirenaica sono trattati come la conferma dell’imminenza dell’attacco. Sono pronti i piani di evacuazione per i pochi stranieri ancora presenti.
Visitando il cuore della città assediata martedì sera e ieri nei quartieri del fronte dove i combattimenti sono più accesi abbiamo notato una situazione di crescente allarme, appena un poco addolcita dal desiderio di svago e dimenticanza tra questa popolazione palesemente stanca della precarietà. Nel quartiere periferico di Al Furnaje, circa cinque chilometri dal centro, gli abitanti si aspettano l’apparire delle colonne blindate di Haftar in arrivo dalla zona di Ghassar Ben Ghashir letteralmente da un momento all’altro. Ogni tanto uno scoppio, uno sparo, tremore di terra. Sul campo Uomini fedeli al Governo di unità nazionale impegnati nei combattimenti alla periferia della capitale Tripoli (Afp/turkia) Haftar usa carri armati e batterie di missili Grad. «I soldati di Shibani (“il vecchio” come hanno soprannominato il maresciallo in città) avanzano in due ondate. Prima arrivano i corpi scelti che perlustrano le strade. Hanno altoparlanti e invitano i simpatizzanti ad unirsi a loro con le armi personali. Chi invece non intende combattere deve appendere bandiere bianche sull’abitazione. Coloro che resistono vengono passati per le armi dalla seconda ondata», spiega un anziano che resta alla finestra. «Il problema è però che dietro le truppe scelte ci sono gruppi di saccheggiatori, gente che pensa solo a rubare», aggiunge un negoziante che già da tempo ha blindato il suo salone d’auto di lusso.
Non sono una novità i saccheggi. Fu una costante al tempo della rivoluzione «assistita» dalla Nato nel 2011. Allora le milizie di Misurata e Bengasi che accerchiavano Sirte si dedicarono soprattutto a derubare nelle case abbandonate. Lo stesso avvenne a Bani Walid, Tarhouna e in vaste aree della capitale. «Oggi il fulcro dei combattenti di Haftar viene dalla Cirenaica, vedono in Tripoli l’antica antagonista e vogliono vendicarsi», temono in tanti. Nel pomeriggio nel quartiere di Ain Zara, dove le truppe di Haftar sono arrivate a soli 8 chilometri dal centro, abbiamo visto posti di blocco improvvisati, con giovani col mitra in mano che perquisivano nervosi le rare auto di passaggio. Se il traffico sul lungomare resta intenso, appena si esce verso le periferie e la zona di Wadi Rabia, dove sono attestati gli assedianti, le strade sono deserte. La Croce Rossa denuncia i combattenti nei due campi. «Non ci lasciano accedere alle zone contese. Non possiamo evacuare le famiglie. Questi sono combattimenti senza regole», dice Osama Ali Masud, uno dei medici che più si prodiga per spostare i civili. Ieri sera i bilanci di sangue contavano una cinquantina di morti e oltre duecento feriti
L’avanzata
Prima arrivano i corpi scelti. Chi resiste viene ucciso dalla seconda ondata di miliziani
da giovedì. E sempre ieri le forze di Haftar hanno annunciato l’abbattimento di un caccia, notizia poi smentita dalle truppe di Sarraj.
Ma la novità fondamentale di queste ore è che si sta andando molto oltre ciò che era avvenuto a settembre. Se allora i fedelissimi di Haftar inquadrati nella Settima Brigata di Tarhouna si erano fermati a Wadi Rabia, oggi i suoi uomini controllano ormai circa la metà della zona urbana. Le cose sono precipitate dall’altro ieri, quando l’inviato speciale dell’onu, Ghassan Salamè, ha annunciato il rinvio della Conferenza Nazionale, che avrebbe dovuto iniziare tra tre giorni nell’oasi di Ghadames con l’intento di trovare una formula di cooperazione tra Haftar e Sarraj. Bloccato il processo politico, la parola passa adesso alle armi.