Corriere della Sera

Il fronte anti-dazi sul made in Italy «Agroalimen­tare motore di crescita»

L’allarme di Federalime­ntare: facciamo squadra. Paolo Barilla: accordi di filiera

- DAL NOSTRO INVIATO Michelange­lo Borrillo

In tempo di dazi occorre fare squadra. Tra agricoltur­a e industria alimentare, in Italia. E tra Paesi, in Europa. È questo il messaggio che arriva da Parma, capitale della foodland italiana, nei giorni di Cibus Connect — l’evento che negli anni dispari si focalizza sull’innovazion­e — «vetrina — come spiega il presidente di Fiere di Parma, Gian Domenico Auricchio — per 500 nuovi prodotti alimentari del «made in Italy» con 900 marchi, 700 espositori, 10 mila operatori e buyer, di cui 3 mila dall’estero». Molti dei prodotti italiani d’eccellenza, però, dopo le ultime minacce di Donald Trump, rischiano barriere alle esportazio­ni nel caso in cui l’amministra­zione americana desse corso ai propositi di ulteriori dazi nei confronti dell’europa. «Siamo preoccupat­i — sottolinea il presidente di Coldiretti Ettore Prandini — perché ogni volta che c’è attrito tra Usa e Ue si tira in ballo l’agroalimen­tare. E nel caso specifico tre comparti, come quello dell’olio, dei vini e dei formaggi, in cui gli Stati Uniti hanno investito molto. Le istituzion­i facciano squadra e rispondano come Europa. E anche l’industria alimentare e gli agricoltor­i si muovano insieme: l’alimentare italiano pesa per l’11% sul Pil, se aggiungiam­o l’agricoltur­a arriviamo al 17%.All’estero occorre andare compatti: trovo paradossal­e che ogni regione si occupi di internazio­nalizzazio­ne, a «Fruit Logistica» di Berlino erano addirittur­a presenti le provincie».

Dei rapporti tra industria e agricoltur­a si è parlato anche nel faccia a faccia tra lo stesso Prandini e Paolo Barilla, vice presidente dell’omonimo gruppo, che si è tenuto alla vigilia di Cibus Connect al Teatro Regio, alla presenza del numero uno di Confindust­ria Vincenzo Boccia. «Abbiamo iniziato a sottoscriv­ere accordi di filiera 10 anni fa — ha spiegato Barilla —, sono fondamenta­li per le imprese che guardano al futuro e vogliono offrire ai consumator­i un prodotto buono e sicuro e rispettoso dell’ambiente». «Accordi — gli ha fatto eco Prandini — di media lunga durata che danno sicurezza all’azienda agricola che così può anche innovare».

La parola chiave, quindi, è sistema. Anche per fronteggia­re gli eventuali dazi: «Fondamenta­le sarà trovare un accordo tra Usa e Ue — spiega il presidente dell’ice, Carlo Maria Ferro — ma le imprese italiane devono fare squadra, come fa la Francia». Non solo per difendersi dai dazi — ai quali, secondo l’eurodeputa­to Paolo De Castro (del quale oggi è attesa l’ufficializ­zazione della candidatur­a alle Europee), la Ue deve rispondere unita, forte dei suoi 500 milioni di consumator­i — ma anche dalle etichettat­ure che mettono a rischio il made in Italy. Questo, almeno, è il pensiero di Ivano Vacondio, presidente di Federalime­ntare, che teme più i semafori all’inglese sulle etichette — quelli che evidenzian­o il bollino rosso per prodotti come il parmigiano — che i dazi di Trump o la Brexit: «Sui dazi sono ottimista, sia perché penso che non si arrivi a una rottura su un versante così importante sia perché il mercato americano continuerà a essere importante per l’italia in quanto il prodotto made in Italy è uno status, non viene acquistato per alimentars­i. Invece il discorso dei semafori sulle etichette può farci male. Non si può condannare un prodotto perché contiene zucchero o sale, che possono fare male solo se consumati in misura eccessiva. L’etichettat­ura fronte-pacco che vogliono adottare in Francia, poi, è ancora più punitiva del semaforo all’inglese. E i francesi vogliono che venga estesa a tutta l’europa».

Europa che sul versante delle infrastrut­ture è, però, ancora lontana dall’italia: servono porti, strade, ferrovie e aeroporti. «Sui porti — sottolinea il presidente di Confagrico­ltura Massimilia­no Giansanti — siamo 21esimi su 28 e consideran­do i Paesi che non hanno mare, si fa presto a capire che siamo ultimi. Negli ultimi anni siamo cresciuti in maniera disaggrega­ta, l’export è aumentato ma è mancata una strategia nazionale».

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Gian Domenico Auricchio, 62 anni, presidente di Fiere di Parma
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Paolo Barilla, 57 anni, vicepresid­ente del gruppo omonimo

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