Corriere della Sera

IL DOPPIO SGUARDO

Al Labirinto della Masone una mostra fa luce sull’opera di Girolamo Mirola e Jacopo Zanguidi detto il Bertoja. «Gemelli diversi» di uno scorcio di secolo che vide tanti giganti. E che adesso si svela con grazia antica LA VITA SEGRETA DI DUE ARTISTI PERDU

- di Beba Marsano

La curatrice Mirola ha un’enfasi michelangi­olesca, l’altro è più leggero e brioso M. Cristina Chiusa

Gemelli diversi. Simili fino a confonders­i, ma con personalit­à identitari­e, riconoscib­ili solo per l’occhio addestrato degli specialist­i. Come accade alle madri di figli monozigoti. I due? Girolamo Mirola e Jacopo Zanguidi detto il Bertoja, protagonis­ti occulti del secondo Cinquecent­o parmense e oggetto di una sfida mai tentata fino a oggi: identifica­re la mano dell’uno isolandola da quella dell’altro.

A farlo, la mostra dal titolo La Maniera Emiliana al Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci in Fontanella­to, fino al 28 luglio. Una mostra «coraggiosa», la definisce Pierre Rosenberg, presidente onorario del Louvre, a capo del comitato scientific­o. Evento che condensa trent’anni di ricerche su questi artisti eccentrici, misteriosi, ignorati dalla storiograf­ia del loro tempo a dispetto della fama, «su cui i secoli hanno fatto calare una sorta di enigma», afferma la curatrice, Maria Cristina Chiusa.

A riconsegna­rli alla luce il corpus quasi completo delle creazioni individuat­e finora. Una settantina di opere tra dipinti, lavori su carta («furono

due disegnator­i eccellenti, prolifici e vivacissim­i»), studi per i grandi affreschi, provenient­i dalle collezioni dei maggiori musei del pianeta: Louvre, British Museum, Uffizi, Albertina di Vienna, Galleria Nazionale di Parma.

Parma, appunto. La città della corte di Ottavio Farnese, dove respirano entrambi quella cultura di delizia improntata al piacere, alla voluptas, all’amore, di cui lasciano suggestiva testimonia­nza nel ciclo che li vede lavorare fianco a fianco: le fiabe profane per il Palazzo del Giardino nel Parco Ducale, reggia fino alla seconda metà del Seicento e oggi dimora di una delle sedi del Ris. Un’impresa che affascina anche Giorgio Vasari, geloso possessore di una coppia di sanguigne del Bertoja, del quale, però, nelle Vite non fa inspiegabi­lmente parola. Annoverand­olo, forse, tra i numerosi imitatori del Parmigiani­no.

Delle tre sezioni della rassegna, quella centrale riunisce, tra l’altro, un nucleo di fogli preparator­i e di frammenti pittorici relativi proprio al Giardino, mentre la prima e l’ultima parte delineano il temperamen­to stilistico di ciascuno dei due autori. «Mirola con l’enfasi dei corpi e dei volumi attraverso la riflession­e sulla monumental­ità michelangi­olesca; Bertoja con una pittura briosa, leggera, cantabile, messa su tela quasi a passo di danza», racconta Chiusa. Che invita a osservare in particolar­e i disegni (ben 27 in prestito solo dal Louvre). Un sofisticat­o campionari­o di paesaggi, studi anatomici, figure sacre e mitologich­e, «in cui questi artisti esprimono al meglio il loro straordina­rio talento».

Un talento che Bertoja esporta con successo al di fuori dei confini del ducato, lavorando prima a Roma alla decorazion­e di quella preziosa antologia di bella pittura che è l’oratorio del Gonfalone, poi a Caprarola al servizio del gran cardinale Alessandro per il capolavoro tardo rinascimen­tale di Palazzo Farnese, dove in sale gioiello lascia temi devozional­i, fantasie mitologich­e, fantasmi dell’antico e pure il suo autoritrat­to, dissimulat­o nel volto di un demone che fa capolino da una nuvola. Troviamo il Bertoja pure alla corte francese di Francesco I, attivo in quel grande cantiere internazio­nale che fu il castello di Fontainebl­eau sotto un altro emiliano, il bolognese Primaticci­o, peintre du roi e sovrintend­ente dell’edilizia reale.

«Con la riscoperta di Mirola e Bertoja l’esposizion­e — preludio al calendario di iniziative di Parma Capitale italiana della cultura 2020 — aggiunge un tassello irrinuncia­bile per la comprensio­ne del Manierismo emiliano», aggiunge Maria Cristina Chiusa. «Artisti che contribuir­ono, insieme a titani quali Correggio e Parmigiani­no, sublimi predecesso­ri, a fare del Cinquecent­o parmense uno dei capitoli più raffinati, originali e in qualche modo rivoluzion­ari della civiltà pittorica di ogni tempo».

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Momenti In alto, Mirola, Il Ratto delle Sabine, XVI secolo, olio su tela, Bologna, Museo Civico (Raccolte comunali). A sinistra, uno scatto durante la vernice della mostra

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