La rabbia di un giovane e la sfida al maestro
Il ragazzo dell’ultimo banco, commedia del 2006 di Juan Mayorga, in scena al Teatro Studio di Milano per la regia di Jacopo Gassmann (che a Mayorga torna dopo il felice debutto con La pace perpetua), si può leggere come una sfida, se non un duello, tra Claudio e Germán, l’allievo e il maestro. Ma poiché Mayorga è uno scrittore filosofico, di confronti ve ne sono altri: tra il diciassettenne Claudio e il compagno di classe Rafa, tra Claudio e Ester, la madre di Rafa, tra Germán e Rafa padre, infine tra Germán e la moglie Juana, che è, come dice il marito, una bottegaia anche se ha la pretesa di vendere oggetti d’arte contemporanea.
Ecco, uno dei vertici della faccenda potrebbe essere Ester, la bottegaia. Claudio, entrando in casa di Rafa, avverte «l’inconfondibile odore della donna di classe media». L’altro vertice è naturalmente Claudio, colui che scrive temi da sottoporre al maestro (che legge e commenta anche la di lui moglie Juana), colui che sarà e di fatto già è lo scrittore della commedia che stiamo leggendo o cui assistiamo.
Nel processo di scrittura il ragazzo è puntiglioso nella descrizione di ciò che vede o immagina fino all’eccesso. A mettere paletti, a dare lezioni di contenimento o di abilità, è Germán che a sua volta sarebbe uno scrittore non fosse uno scrittore frustrato, che sa come si fa ma non lo sa fare — mentre Claudio, lì, all’ultimo banco, non è che «un ragazzo arrabbiato con il mondo». Da un punto di vista tematico, la commedia di Mayorga nasce da questa rabbia. È pura critica della nuova società spagnola,
della piccola e media borghesia e delle sue aspirazioni. Il ragazzo dell’ultimo banco impone tuttavia una sfida di rango più elevato, tra il mondo e ciò che lo rappresenta — forse (osservo io) nello stesso tempo vincendola e perdendola.
Mayorga vince nel rendere tutto simultaneo e per il modo inavvertito con cui lascia di Protagonisti Fabrizio Falco e Danilo Nigrelli in un momento dello spettacolo diretto da Jacopo Gassmann continuo scivolare nel testo la metatestualità: dall’immagine (la scena cui assistiamo) il racconto di essa. È l’ingiudicabile vortice della contemporaneità.
Perde per la sua stessa abilità di concertazione: un mondo che dovrebbe essere allontanato già per il suo «odore» e che invece ci torna addosso o in cui l’autore appare sprofondato. Chi invece vince e basta l’ultima sfida è di sicuro Jacopo Gassmann.
Raramente nella scena italiana si assiste a un lavoro così sofisticato. A ogni parola corrisponde un’immagine, a ogni subdolo spostamento di Mayorga un chiaro spostamento di Gassmann, a ogni vuoto un pieno che di fatto orienta lo spettatore. Se si parla di scarpe, ecco la scarpiera; se si parla di Klee, eccone i quadri; se la nuova scena appare all’improvviso lui fa arrivare da lontano quelle due pareti trasparenti: la scena ci lascia il tempo di percepirla, renderla nostra proprietà. Gassmann dispone poi di due interpreti eccellenti, Danilo Nigrelli e Pia Lanciotti. Gli altri l’incolore sfidante allievo Fabrizio Falco, Mariángeles Torres, Alfonso De Vreese, Pierluigi Corallo.