Sudan in festa, finisce l’era di Bashir Ma il potere resta nelle mani dei militari
Colpo di Stato a Khartoum, arrestato il presidente. Il ministro della Difesa leader provvisorio
Svégliati, Sudan. Alle 6 del mattino, sulla tv di Stato va in onda un cartone animato. Di colpo, lo schermo si fa nero. Una scritta: «Tra poco, un importante annuncio delle Forze armate». Passa qualche istante. Poi, ecco il ministro della Difesa, Ahmed Awad Ibn Auf: «Il regime è finito, il suo capo è in un luogo sicuro». Lo scarno comunicato dice tutto: dopo trent’anni di regime e quasi quattro mesi di proteste, il primo e unico presidente del Sudan indipendente, il dittatore Omar al-bashir, è deposto nel tempo d’uno spot.
È una nuova alba. Le strade si riempiono subito d’una folla immensa e incredula. Suonano i clacson, si sventolano bandiere. Si chiudono le frontiere e l’aeroporto. S’aprono le galere, escono i prigionieri politici e vi entra un centinaio d’amici del regime. S’ordina di cessare il fuoco nel Darfur e si sospende la Costituzione del 2005. C’è un Consiglio militare di transizione, adesso, e a comandarlo sarà Auf, numero due del regime: resterà in carica due anni, proprio come quella giunta militare che nel 1989 portò Bashir al potere. Un maquillage ai vertici che non piace alle opposizioni e all’associazione dei professionisti sudanesi, da dicembre il motore delle proteste contro la triplicazione del prezzo del pane e l’azzeramento d’ogni libertà. «Non vogliamo al potere le stesse facce di prima», avverte Alaa Salah, «la principessa nubiana», l’universitaria 22enne che nei giorni scorsi ha arringato le folle diventando il simbolo della rivolta: «Vogliamo un governo di transizione civile». La giunta ha imposto un mese di coprifuoco notturno, dalle 22 alle 4, ma ieri sera i sit-in davanti ai palazzi del potere continuavano: da queste prime notti sarà chiaro se la protesta terminerà con la fine di Bashir, oppure no.
Le Primavere africane continuano. Dopo Mugabe nello Zimbabwe e Bouteflika in Algeria, a 75 anni lascia un altro eterno leader. Travolto dall’incapacità di capire un Paese sfinito da trent’anni di guerre, sanzioni, pugno di ferro: «I topi tornino nei loro buchi», la sprezzante risposta al malcontento. Ex parà che combattè Israele nella Guerra del
Il cambiamento
È una nuova alba, le primavere africane continuano. Dopo lo Zimbabwe e l’algeria
Kippur, amico dell’ex leader iraniano Ahmadinejad e di Osama bin Laden che ospitò a Khartoum, impoverito dalla secessione del Sud Sudan (che s’è portata via il 70 per cento delle ricchezze petrolifere), Bashir aveva tentato negli ultimi anni d’uscire dall’isolamento internazionale: accusato dal tribunale dell’aja per il genocidio del Darfur, 300 mila morti e 2,5 milioni di sfollati, s’era unito ai sauditi nell’avventura militare nello Yemen, coltivando rapporti con Assad in Siria, con Mosca, con la Turchia. Non gli è bastato. Raccontava sempre che il suo famoso dente mancante fosse un vezzo: «Non ne voglio uno finto, l’ho perso da bambino quando lavoravo e lo voglio tenere per ricordarmi chi ero, ogni mattina, quando mi specchio». Il sorriso gli si è spento, specchiarsi sarà più difficile.