Theresa May e la disfatta (personale) in Europa
LONDRA Dolcetto o scherzetto? Halloween o Brexit? Chissà, perché intanto la data di uscita del Regno Unito dall’unione europea è stata rimandata al 31 ottobre, la notte di Ognissanti: e nel frattempo tutto può succedere.
I leader della Ue hanno raggiunto questo compromesso alla mezzanotte di mercoledì. No a un rinvio lungo della Brexit, fino a un anno, come auspicato dalla Germania e da molti altri Paesi: a opporsi è stato il presidente francese Emmanuel Macron, che voleva sbattere fuori i britannici già il 7 maggio, accordo o non accordo. .
Alla fine ci si è fermati a metà: dilazione di sei mesi, nella speranza che nel frattempo i britannici rinsaviscano e trovino il modo di approvare l’accordo di divorzio negoziato con Bruxelles. E se questo avvenisse già prima, la Gran Bretagna ha la facoltà di imboccare subito la porta di uscita.
È quanto ancora spera di fare Theresa May, che ieri, intervenendo a Westminster, ha invitato i deputati ad adoperare la pausa pasquale per una serena pausa di riflessione. Ma la premier esce ancora più umiliata dal vertice europeo: lei aveva chiesto una proroga al massimo fino alla fine di giugno, nella speranza di evitare di partecipare alle elezioni europee. Cosa che ora diventa una condizione ineludibile.
I giornali paragonano la disfatta alla crisi di Suez del 1956, quando la Gran Bretagna imperiale uscì ridimensionata dalle nuove grandi potenze, Usa e Urss. E si interrogano sulla data della dipartita di Theresa May da Downing Street. Tre sono gli scenari possibili: la premier potrebbe essere accompagnata alla porta già a maggio, dopo la verosimile disfatta dei conservatori alle elezioni; potrebbe essere graziata al massimo fino alla fine di giugno, in modo da installare un nuovo leader prima dell’estate; oppure potrebbe essere defenestrata in occasione del congresso del partito a ottobre. In ogni modo, difficilmente vedrà la conclusione della Brexit.