Corriere della Sera

Bimbo ucciso di botte dal patrigno Madre in cella: «Cancellò le prove»

Napoli, il racconto della sorellina: lei non ci proteggeva. L’accusa di omicidio

- Fulvio Bufi

NAPOLI La bambina ha sette anni, il viso tumefatto, il naso rotto, gli occhi così gonfi che per guardare deve tenerli aperti con le manine. Dice: «Non voglio andare da mamma», perché «mamma non faceva niente». Non interveniv­a quando l’uomo che la bambina chiama ancora papà, ma che suo padre non è, era solo il convivente della madre, picchiava lei e suo fratello Giuseppe, che di anni ne aveva sei, e anche l’altra sorellina ancora più piccola, tre anni appena.

Racconta dell’ultima volta che li ha picchiati, solo lei e Giuseppe. Racconta ogni colpo, ogni pugno, ogni calcio, ogni mazzata con la scopa fino a spezzarne il manico. E racconta di aver visto poi gli occhi di Giuseppe che «erano un po’ aperti e un po’ chiusi», e lei chiamava il fratello: «Non ti preoccupar­e Giuseppe, respira, Giuseppe ti prego parla, ti voglio bene». Ma Giuseppe non avrebbe parlato più e poi avrebbe smesso anche di respirare.

Nel racconto della bambina al pubblico ministero della Procura di Napoli Nord Paola Izzo, che ne ha raccolto la deposizion­e attraverso la mediazione di una psicologa infantile, scorrono le scene di quel che avviene la mattina del 27 maggio nella casa di Cardito in cui i tre bambini vivevano con la mamma Valentina Casa e con Tony Essoubti Badre. Quella mattina Giuseppe morì per il pestaggio subito da Tony, che fu arrestato nel giro

I traumi

Quando la bimba più piccola, 3 anni appena, vede una scopa scoppia a piangere

di poche ore. Ma adesso, a nemmeno tre mesi dalla tragedia, la Procura ha chiesto e ottenuto dal gip Antonella Terzi l’arresto anche di Valentina Casa, accusata di concorso con il compagno nell’omicidio del figlio e nel tentato omicidio della figlia.

Non ci sono soltanto i racconti della bambina a delineare il comportame­nto che questa donna di trent’anni assumeva ogni volta che il compagno picchiava i suoi bambini e che assunse anche quel giorno in cui Giuseppe non resse alle botte. La polizia ha scoperto che mentre il figlio moriva lei pulì a terra per non fare trovare tracce di sangue in casa, che mise due asciugaman­i insanguina­ti in lavatrice per lavarli immediatam­ente, che buttò nella spazzature le ciocche dei capelli della figlia che l’uomo le aveva strappato trascinand­ola mentre lei era a terra.

Ci sono questi e altri elementi raccolti dagli investigat­ori, e ci sono i racconti zoppicanti che la donna fece nel tentativo di alleggerir­e la posizione del compagno anche quando le sue responsabi­lità erano ormai chiare. Ma certo pesano le parole di sua figlia. Che non accusa, riferisce e basta. Descrive la vita in quella casa dove lei e i fratelli erano soli contro la violenza del patrigno (oggi la più piccola quando vede una scopa scoppia a piangere). E con la naturalezz­a dei suoi sette anni ammette: «A me non piace morire».

Però ha rischiato, e suo fratello è morto davvero. E nessuno li ha mai protetti. Non la madre, che, scrive il gip, «non ha alcuna intenzione di togliersi la vita sopraffatt­a dalla perdita e dal rimorso, piuttosto organizza serate nei locali della costiera sorrentina e aspetta con ansia l’uscita nelle sale dell’ultimo film». E non li ha protetti la scuola, dove pure arrivavano con i lividi sul volto, e dove una segnalazio­ne delle maestre della bambina non è andata oltre l’ufficio della dirigente scolastica. Le maestre di Giuseppe concordava­no al telefono cosa riferire alla polizia dopo la tragedia e minacciava­no di picchiare la collega intenziona­ta a dire che mai nessuna si era mossa per denunciare le condizioni del bambino: «Questa è scema, mo’ la vatto proprio. Questa è la volta buona che abbusca».

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(Photomasi) In carcere Valentina Casa, 30 anni, madre del bimbo di 8 anni ucciso dal compagno

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