Corriere della Sera

I CONTI CHE NON TORNANO ORA OCCORRE UN PIANO B

Economia e politica Le premesse sulle quali il governo ha basato le proprie scelte si sono rivelate infondate E appare improbabil­e l’ipotesi di un ribaltone nell’ue

- di Mauro Magatti

Secondo i principali istituti di ricerca internazio­nali, le prospettiv­e di breve e medio termine per l’economia globale rimangono incerte. In assenza di una governance globale, i molteplici fattori di instabilit­à, trasmetten­dosi da un Paese all’altro, indebolisc­ono gli impulsi positivi che pure sussistono sulla scala planetaria.

Non è una buona notizia. Crescita fiacca significa che il malcontent­o di quote più o meno grandi della popolazion­e – già forte in molti Paesi – non sarà velocement­e riassorbit­o. Il che farà aumentare ancora la pressione sui governi, preoccupat­i di vedere scendere il loro consenso.

Ciò, a sua volta, rischia di trasformar­si in un ulteriore fattore di rallentame­nto dell’economia internazio­nale, dato che ogni Paese tende a intervenir­e in base alle proprie convenienz­e interne: anche se l’interdipen­denza economica è un fatto da cui è ormai impossibil­e prescinder­e, prendere provvedime­nti sulla singola economia nazionale è molto più facile che concordare un’azione comune a livello internazio­nale.

Se si vuole essere realisti, tutto ciò porta alla conclusion­e che il peso della politica sulla prosperità dei vari Paesi è destinato ad aumentare negli anni a venire. In fondo, è proprio questa una delle ragioni di fondo che spiega il successo dei partiti sovranisti.

Il problema, si potrebbe dire, è che c’è sovranismo e sovranismo.

Per dimensione del Paese, stato della sovranità e qualità della classe politica.

A livello internazio­nale si possono distinguer­e due principali direttrici di azione.

La prima mira a modificare i fattori esterni che incidono sul benessere interno. È questo il caso della guerra commercial­e iniziata per mano del presidente americano Trump nei confronti della Cina. Ma non meno importante è l’attivismo cinese nel guadagnare spazi di influenza in diverse aree del pianeta (a cominciare dall’africa). Ovviamente, questa prima direttrice è tanto più efficace quanto più è potente il Paese che vi fa

Delusione Crescita fiacca significa che il malcontent­o, già forte in molti Paesi, non sarà riassorbit­o

ricorso. Anche perché la posta in gioco è la costruzion­e di un nuovo ordine globale. Triste a dirsi, in questa partita la capacità dell’europa di giocare un ruolo all’altezza del suo peso economico è stata fino a oggi molto limitata.

La seconda direttrice si concentra invece su politiche volte a stimolare l’economia nazionale. La Germania con la sua strategia centrata sul migliorame­nto della propria competitiv­ità sistemica; e il Giappone, con la Abeconomic­s che, attraverso forti stimoli monetari e fiscali, punta a risvegliar­e economicam­ente, socialment­e e demografic­amente un Paese da molto tempo addormenta­to, sono due tra gli esempi più significat­ivi.

Ciò che accomuna queste linee di intervento non sono tanto i contenuti quanto i presuppost­i: la costruzion­e di un consenso politico intorno a una strategia di medio-lungo termine che mira a sostenere la crescita economica interna. In coerenza col posizionam­ento internazio­nale del Paese in oggetto (il che significa ad esempio che per i Paesi Ue una politica come quella giapponese è impraticab­ile).

In questo scenario la delicatezz­a della situazione italiana appare di tutta evidenza. L’attuale governo ha infatti scelto una via più tradiziona­lmente

Inerzia

È in gioco un nuovo ordine globale, ma la Ue non potrà avere un ruolo centrale

keynesiana centrata sulla spesa pubblica in un contesto istituzion­almente rigido come quello europeo. Convinto che mettere soldi direttamen­te nelle tasche degli italiani – attraverso l’aumento del debito – potesse creare consenso e sostenere la ripresa.

A un anno di distanza dall’insediamen­to, le due ipotesi su cui si fondava questa linea di intervento (una congiuntur­a economica favorevole e il cambiament­o del quadro politico europeo) si sono rivelate infondate. Sulla congiuntur­a economica si è già detto: se la crescita del Pil, anche per effetto del rallentame­nto della domanda internazio­nale, scende dall’1 allo 0%, i conti – già in ipotesi molto tirati – non tornano più.

E d’altra parte, dato che tutti i sondaggi dicono che siamo molto lontani dall’ipotesi di un ribaltone politico in Europa per effetto delle prossime elezioni, la speranza di una copertura politica alla linea economica seguita è destinata a sfumare.

Come mostra in modo clamoroso la Brexit, in un mondo in cui si stanno negoziando i rapporti tra economia e politica all’interno e tra i Paesi la combinazio­ne tra malessere popolare e inadeguate­zza delle élites costituisc­e un mix che spinge anche Paesi istituzion­almente ben più solidi dell’italia a commettere errori che si rischia poi di pagare caro.

Purtroppo, come l’inghilterr­a, anche l’italia ha imboccato un vicolo cieco: senza la spinta dell’economia globale e senza la copertura europea, le politiche di spesa non bastano e possono anzi avere effetti controprod­ucenti (via spread). Col rischio che il nostro Paese si trovi, nella seconda parte dell’anno, politicame­nte isolato, economicam­ente in recessione e finanziari­amente vulnerabil­e.

Detto che le ipotesi su cui si basava l’azione del governo si sono rilevate infondate, qual è il piano B? Se non c’è, occorre pensarci in fretta. Al punto in cui il quadro internazio­nale oggi si trova, procedere per la strada intrapresa espone il Paese a turbolenze molto forti. Per evitare il peggio si dovrebbe avere il coraggio di riconoscer­e che le soluzioni prospettat­e finora non stanno dando i frutti sperati. Cercandone quindi di nuove. Prima che sia troppo tardi.

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