I CONTI CHE NON TORNANO ORA OCCORRE UN PIANO B
Economia e politica Le premesse sulle quali il governo ha basato le proprie scelte si sono rivelate infondate E appare improbabile l’ipotesi di un ribaltone nell’ue
Secondo i principali istituti di ricerca internazionali, le prospettive di breve e medio termine per l’economia globale rimangono incerte. In assenza di una governance globale, i molteplici fattori di instabilità, trasmettendosi da un Paese all’altro, indeboliscono gli impulsi positivi che pure sussistono sulla scala planetaria.
Non è una buona notizia. Crescita fiacca significa che il malcontento di quote più o meno grandi della popolazione – già forte in molti Paesi – non sarà velocemente riassorbito. Il che farà aumentare ancora la pressione sui governi, preoccupati di vedere scendere il loro consenso.
Ciò, a sua volta, rischia di trasformarsi in un ulteriore fattore di rallentamento dell’economia internazionale, dato che ogni Paese tende a intervenire in base alle proprie convenienze interne: anche se l’interdipendenza economica è un fatto da cui è ormai impossibile prescindere, prendere provvedimenti sulla singola economia nazionale è molto più facile che concordare un’azione comune a livello internazionale.
Se si vuole essere realisti, tutto ciò porta alla conclusione che il peso della politica sulla prosperità dei vari Paesi è destinato ad aumentare negli anni a venire. In fondo, è proprio questa una delle ragioni di fondo che spiega il successo dei partiti sovranisti.
Il problema, si potrebbe dire, è che c’è sovranismo e sovranismo.
Per dimensione del Paese, stato della sovranità e qualità della classe politica.
A livello internazionale si possono distinguere due principali direttrici di azione.
La prima mira a modificare i fattori esterni che incidono sul benessere interno. È questo il caso della guerra commerciale iniziata per mano del presidente americano Trump nei confronti della Cina. Ma non meno importante è l’attivismo cinese nel guadagnare spazi di influenza in diverse aree del pianeta (a cominciare dall’africa). Ovviamente, questa prima direttrice è tanto più efficace quanto più è potente il Paese che vi fa
Delusione Crescita fiacca significa che il malcontento, già forte in molti Paesi, non sarà riassorbito
ricorso. Anche perché la posta in gioco è la costruzione di un nuovo ordine globale. Triste a dirsi, in questa partita la capacità dell’europa di giocare un ruolo all’altezza del suo peso economico è stata fino a oggi molto limitata.
La seconda direttrice si concentra invece su politiche volte a stimolare l’economia nazionale. La Germania con la sua strategia centrata sul miglioramento della propria competitività sistemica; e il Giappone, con la Abeconomics che, attraverso forti stimoli monetari e fiscali, punta a risvegliare economicamente, socialmente e demograficamente un Paese da molto tempo addormentato, sono due tra gli esempi più significativi.
Ciò che accomuna queste linee di intervento non sono tanto i contenuti quanto i presupposti: la costruzione di un consenso politico intorno a una strategia di medio-lungo termine che mira a sostenere la crescita economica interna. In coerenza col posizionamento internazionale del Paese in oggetto (il che significa ad esempio che per i Paesi Ue una politica come quella giapponese è impraticabile).
In questo scenario la delicatezza della situazione italiana appare di tutta evidenza. L’attuale governo ha infatti scelto una via più tradizionalmente
Inerzia
È in gioco un nuovo ordine globale, ma la Ue non potrà avere un ruolo centrale
keynesiana centrata sulla spesa pubblica in un contesto istituzionalmente rigido come quello europeo. Convinto che mettere soldi direttamente nelle tasche degli italiani – attraverso l’aumento del debito – potesse creare consenso e sostenere la ripresa.
A un anno di distanza dall’insediamento, le due ipotesi su cui si fondava questa linea di intervento (una congiuntura economica favorevole e il cambiamento del quadro politico europeo) si sono rivelate infondate. Sulla congiuntura economica si è già detto: se la crescita del Pil, anche per effetto del rallentamento della domanda internazionale, scende dall’1 allo 0%, i conti – già in ipotesi molto tirati – non tornano più.
E d’altra parte, dato che tutti i sondaggi dicono che siamo molto lontani dall’ipotesi di un ribaltone politico in Europa per effetto delle prossime elezioni, la speranza di una copertura politica alla linea economica seguita è destinata a sfumare.
Come mostra in modo clamoroso la Brexit, in un mondo in cui si stanno negoziando i rapporti tra economia e politica all’interno e tra i Paesi la combinazione tra malessere popolare e inadeguatezza delle élites costituisce un mix che spinge anche Paesi istituzionalmente ben più solidi dell’italia a commettere errori che si rischia poi di pagare caro.
Purtroppo, come l’inghilterra, anche l’italia ha imboccato un vicolo cieco: senza la spinta dell’economia globale e senza la copertura europea, le politiche di spesa non bastano e possono anzi avere effetti controproducenti (via spread). Col rischio che il nostro Paese si trovi, nella seconda parte dell’anno, politicamente isolato, economicamente in recessione e finanziariamente vulnerabile.
Detto che le ipotesi su cui si basava l’azione del governo si sono rilevate infondate, qual è il piano B? Se non c’è, occorre pensarci in fretta. Al punto in cui il quadro internazionale oggi si trova, procedere per la strada intrapresa espone il Paese a turbolenze molto forti. Per evitare il peggio si dovrebbe avere il coraggio di riconoscere che le soluzioni prospettate finora non stanno dando i frutti sperati. Cercandone quindi di nuove. Prima che sia troppo tardi.