Unicredit, rischio sanzione Mustier: rumore per nulla
«Le alleanze europee? Tra le banche sono molto difficili»
Quando in una pausa dell’assemblea chiamata ad approvare il bilancio 2018 di Unicredit Jean Pierre Mustier esce dalla Sala della grida di palazzo Mezzanotte, sede della Borsa italiana, la principale preoccupazione dell’amministratore delegato del gruppo è mettere a tacere quelle grida. «Much ado about nothing», dice citando William Shakespeare: molto rumore per nulla. Il tema è il rischio della sanzione miliardaria in cui Unicredit potrebbe incorrere se venissero provate le sue responsabilità in una vicenda che vede coinvolte otto tra le maggiori banche del Vecchio continente, chiamate dalla Commissione europea a rispondere dell’ipotesi di distorsione della concorrenza in una vicenda che risale al periodo 2007-2012. In quegli anni si sarebbe realizzato un accordo tra i trader di questi otto grandi istituti continentali, tra cui Unicredit attraverso la controllata tedesca Hvb, che avrebbero coordinato le rispettive strategie di vendita di titoli di Stato sui mercati internazionali. Nei fatti, un cartello.
Se venissero provate le responsabilità di Unicredit, l’istituto rischierebbe di incorrere in una sanzione che potrebbe raggiungere il 10 per cento del giro d’affari del gruppo: una cifra enorme, 19.723 miliardi nel 2018, ovvero una multa di quasi 2 miliardi di euro.
Unicredit ha tempo fino al 29 aprile prossimo per presentare alla Commissione europea le sue controdeduzioni, ma già si ipotizzano slittamenti in avanti per concedere a Unicredit un’apposita audizione al fine di determinare con esattezza le eventuali responsabilità della banca. L’istituto di piazza Gae Aulenti ha già fatto presente che «non considera più remoto, ma possibile, sebbene non probabile, un esborso di cassa volto al pagamento di una potenziale sanzione». Nello specifico dell’indagine, che la Commissione ha ultimato in febbraio, si apprende che il trader avrebbe lavorato per Unicredit con un ruolo marginale (autorizzazione al trading esclusivamente sul mercato secondario dei titoli di Stato) e solamente per quattro mesi, prima di essere licenziato dalla banca.
Il presidente di Unicredit, l’ex ministro Fabrizio Saccomanni, ha invece focalizzato la sua attenzione sulla relazione tra il debito sovrano e il sistema finanziario italiano. «Quelli del Fondo monetario — ha detto Saccomanni —, mi sembrano allarmi esagerati». Al di là della ipotesi della sanzione, l’assemblea — la prima con Saccomanni presidente e la prima a svolgersi nei locali della Borsa di Milano — ha archiviato (davanti a soci in rappresentanza del 61,25 % del capitale, presenti i due maggiori azionisti, Aabar e Dodge & Cox), un anno positivo per l’istituto, chiuso con 27 centesimi di dividendo cash distribuito agli azionisti e un utile netto di 3,892 miliardi. E le ipotesi di aggregazioni? «Il nostro piano è basato su presupposti organici. Abbiamo sempre detto che l’europa ha bisogno di banche più grandi ma anche che le fusioni sono molto difficili e che la probabilità è molto bassa».