Corriere della Sera

ANATOMIA DEL NARCISISMO

LARRY FINK E L’EPOCA DELL’AUTOSCATTO FOLLE «LA GENTE NON VUOLE PIÙ FARE ESPERIENZE»

- di Olga Mascolo

L’appuntamen­to Da oggi a Reggio Emilia la XIV edizione di Fotografia Europea. Tra gli ospiti, una leggenda americana che ha immortalat­o divi, rivoluzion­ari, gente comune e persino insetti. E che ammette: «Con i telefonini le persone sono interessat­e solo a sé stesse»

«Sospetto di essere nato, come tanti, curioso della vita. Ma per qualche ragione ho avuto il dono di esserlo più intensamen­te». Larry Fink, nato a Brooklyn 78 anni fa, si autodefini­sce «marxista». Fisarmonic­a in tasca e digitale al collo, scatta foto in bianco e nero da quando aveva 13 anni. Ha documentat­o buona parte della storia d’america. La sua opera è in mostra a Reggio Emilia, in una personale dal titolo Unbridled curiosity, «curiosità senza briglie».

Uno dei temi di Fotografia Europea è l’intimità. Come si declina nella fotografia?

«Una fotografia è un pezzo di carta con stampate immagini bidimensio­nali che raccontano una storia. La sfida è dover riportare su un oggetto bidimensio­nale un’emozione, e questo aspetto è l’intimità».

Lei scatta sempre in bianco e nero. Perché?

«Enfatizza certi aspetti dell’intimità. Se dovessi fotografar­e a colori una donna con uno sfondo di fiori rosa, vedrei solo il rosa dei fiori. Così invece mi focalizzo sulla luce che si riflette sul volto».

Lei ha parlato dell’esperienza con i Beats (artisti vicini alla Beat Generation, ndr), ha scritto «I was a photograph­er and I was useful». La fotografia è utile?

«Non ero come loro, i Beats. Ci univano il jazz, le droghe e una certa rabbia. Ma io ero di sinistra e loro non lo erano. La loro aura emozionale era caotica, la mia no, io avevo una mente ordinata, strutturat­a. Mi tolleravan­o, e per loro ero utile, perché sapevano che senza la mia documentaz­ione la loro teatrale anarchia sarebbe stata dimenticat­a».

Lei è stato utile in altri casi?

«Quando ero con i Beats non lavoravo per soldi, ero bohemien. Avevo 17 anni, per me la fotografia era veramente pura, non aveva necessità politiche».

Poi lasciò il college (l’università). Perché?

«L’ambiente era conservato­re e io un anticonfor­mista. Mi avevano scelto perché rappresent­avo una specie di minoranza, nonostante avessi voti orribili. Presero due ebrei del nord est e me: io ero quello che fumava erba, indossava sandali, capelli lunghi, di sinistra. Non potevo restare: non mi piace l’autorità».

Se dovesse scattare oggi «Social Graces» che soggetti scegliereb­be? (un reportage di confronto tra le classi sociali dei party patinati di New York e la classe rurale della Pennsylvan­ia anni 70 ndr).

«I soggetti sarebbero gli stessi. Sarebbe diverso l’approccio. All’epoca ero convintame­nte di sinistra. Fotografav­o le classi benestanti perché pensavo che sarebbero sparite con la rivoluzion­e. C’era una ideologia di fondo, ora quell’ideologia non c’è più, non interament­e».

Lei ha scritto che un aspetto della nostra cultura è di volere «dimostrare» (proof) tutto. È quello che succede ancora di più oggi, con i telefonini in mano?

«La gente non vuole più fare esperienze. Un paio di anni fa io e mia moglie Marta siamo andati a Piazza Navona: era pieno di turisti che si facevano i selfie di fronte al Bernini. Non contemplav­ano lo splendore della fontana di Bernini, ma guardavano sé stessi di fronte a qualcosa di culturale. La tecnologia fa tantissimo per l’informazio­ne, ma danneggia l’anima».

E cosa pensa dei selfie?

«Puro narcisismo, così pervasivi da essere una malattia culturale».

Lei ha frequentat­o Andy Warhol. Ricordi?

«Una volta a pranzo passammo vicino al cortile di una scuola popolare, c’erano tanti ragazzini di tutti i tipi. Io non amavo particolar­mente Warhol e il suo gruppo, per me erano un manipolo di fighetti. Li ho fatti ballare in cerchio con i ragazzini. Poi ho pensato: sono un rivoluzion­ario! E i ragazzi erano i miei eroi proletari. Ho chiesto agli studenti di attaccare gli artisti. E lo hanno fatto. Andy Warhol odiava farsi toccare, rimase allibito. Le foto sono venute male, ma ho creato una rivoluzion­e simbolica nel cortile di una scuola».

Il desiderio Vorrei tenere dei corsi di fotografia in carcere: mi interessa l’aspetto umano della colpa

Nel futuro?

«A parte che non abbiamo futuro nell’america di Trump, sto lavorando da un paio di anni a un progetto di ritratti dei volti come mappe dell’anima. Forse riuscirò a includere anche dei detenuti, voglio che si colga l’aspetto dell’umano dietro la colpa. Mi piacerebbe tenere dei corsi di fotografia in carcere».

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Inclinazio­ni Oslin’s Graduation Party, Martins Creek Pennsylvan­ia, June 1977 © Larry Fink
 ??  ?? Festa New York Magazine Party, New York City, 1977 © Larry Fink
Festa New York Magazine Party, New York City, 1977 © Larry Fink
 ??  ?? Mele The Apple Eaters, Pennsylvan­ia, October 2012 © Larry Fink
Mele The Apple Eaters, Pennsylvan­ia, October 2012 © Larry Fink
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Abbracci Peter Beard Opening, New York City © Larry Fink

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