Corriere della Sera

Noi cantori del verde perduto Tra i fiori e le piante delle città che cambiano

- Di Gian Arturo Ferrari

Solo Napoleone pare non contagiato dall’epidemia di verde che ha colpito la Milano del Salone del mobile e della Design week. Piantato nel mezzo del cortile d’onore di Brera, austera architettu­ra gesuitica, se ne sta lì nudo nelle vesti, si fa per dire, di Marte pacificato­re (un bell’ossimoro, a pensarci) assorto nella lettura del gran libro che l’installazi­one di Unifor gli tiene squadernat­o davanti. Niente foglioline, niente alberelli, niente fiorellini. Cose buone, sembra dire, insieme con rameggi, spalliere, arbusti e alberi veri e propri per i séparé di caffè e bar all’aperto, tormentati per altro dalla pioggia. O per le vetrine degli infiniti negozi e delle infinite esposizion­i di materiali, rivestimen­ti, mobili, accessori, attrezzi, impianti, luci che hanno deciso di riscattare la propria fredda essenza tecnologic­a con la gentilezza

viva di un tocco di verde. Ma qui, sembra dire l’imperatore divinizzat­o da Antonio Canova, siamo nel cuore della cultura, altro che natura, circondati dai libri — veri questi, non installati — della Braidense, tra i porticati sotto cui passeggiav­a l’abate Parini. Qui siamo ancora nella lunga tradizione della città ideale, come nelle tavole del primo Rinascimen­to, tutte marmi e prospettiv­a, un filo d’erba neanche a pagarlo. La città come artefatto, orgogliosa­mente contrappos­ta all’ambiente circostant­e, bellezza della razionalit­à. Ma fuori dallo sguardo corrucciat­o di Napoleone, la città di oggi non è più così. Pentita, così sembra, della sua arroganza passata, vuole venire a patti con quel mondo verde contro cui si era eretta, vuole includerlo, inglobarlo. Non solo come ornamento e come decoro, ma come sua effettiva essenza. È un fenomeno non recentissi­mo, oltre che avvisaglie, esperiment­i, tentativi si sono già visti grandi, e profondi, risultati. L’architettu­ra in legno di Michele De Lucchi, il bosco verticale di Stefano Boeri. La città si viene caricando del compito — la sopravvive­nza — che la campagna non riesce più a sostenere. Il paesaggio agricolo, propriamen­te parlando, non esiste più. È stato sostituito dall’industria agricola, che è tutt’altra cosa. Al di sopra dei cinquecent­o metri d’altezza non solo l’italia ma l’intera Europa mediterran­ea si sta trasforman­do in un deserto umano, tornano le selve. Il verde perduto si rifugia nella città. E gli urbanizzat­i del ventunesim­o secolo lo cercano, lo amano, lo coccolano, lo vogliono a tutti i costi, spendono e spandono per averlo. Non solo per raffinatez­za estenuata, c’è qualcosa di antico, forse di atavico dentro di noi. Possiamo crederci figli in toto del nostro tempo, ma tre o quattro generazion­i fa, un battito di ciglia nella storia, vivevamo tutti sulla terra e della terra. Sotto i tatuaggi o sotto le camicie bianche siamo tutti, o quasi, contadini. L’odore dell’erba appena tagliata, il brusio del vento negli alberi è qualcosa scritto dentro di noi, non lo troviamo nelle serie televisive. Lo cerchiamo, con un malcelato timore di averlo perso, definitiva­mente.

 ??  ??
 ??  ?? Incontri ravvicinat­i
Ulivi davanti alle vetrina della Rinascente, progetto della designer olandese Sabine Marcelis
Incontri ravvicinat­i Ulivi davanti alle vetrina della Rinascente, progetto della designer olandese Sabine Marcelis

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy