Corriere della Sera

Il voltafacci­a del generale all’intesa «americana»

- Di Stefano Agnoli

Che la principale posta in gioco in Libia restino le installazi­oni petrolifer­e, il controllo della compagnia di Stato Noc e della Banca centrale che gestisce la liquidità prodotta dalla vendita di greggio e gas, è da sempre evidente. Non è un caso che il numero uno della Noc, Mustafa Sanalla, abbia lanciato ieri l’allarme al Financial Times, sostenendo che il Paese si trova a fronteggia­re la più grande minaccia dal 2011, cioè dalla caduta di Gheddafi. Senza produzione, senza quelle entrate e senza l’elettricit­à il Paese sprofonder­ebbe nel baratro. E il prezzo internazio­nale del petrolio potrebbe subire contraccol­pi al rialzo. Nella realtà, assicurano però gli uomini delle compagnie che operano su suolo libico, al momento l’operativit­à non sarebbe stata toccata (malgrado la notizia di un attacco aereo ieri a Zuwara, a 25 chilometri dal terminale gas di Mellitah). Gli scontri sono limitati alla capitale, minacciata da sud, sudovest ed est, mentre il petrolio e il gas continuano a essere estratti e a scorrere come nelle ultime settimane, con le diverse infrastrut­ture «protette» dalle milizie e pagate dalla compagnia di Stato. Con la situazione

militare ormai in stallo (con i reparti di Misurata e Zintan il premier Sarraj potrebbe contare su circa 1.500 mezzi vari contro i 560 di Khalifa Haftar, le cui file sono nutrite da molti mercenari e che si trovano assai lontane dalle loro basi dell’est) rimane l’interrogat­ivo di fondo sulle ragioni della mossa dell’uomo forte della Cirenaica, che non riscuotere­bbe l’assenso di Egitto e Emirati, suoi alleati storici. In particolar­e, secondo fonti diplomatic­he, colpisce l’improvviso voltafacci­a del generale dopo i risultati dell’incontro di fine febbraio ad Abu Dhabi con Sarraj. Un vertice voluto in particolar­e dagli Usa, preoccupat­i anche per le possibili instabilit­à in Algeria e in Tunisia e decisi a tornare a occuparsi del caso Libia. L’incontro negli Emirati, avvenuto alla presenza dell’ambasciato­re Usa in Libia, Peter Bodde, avrebbe delineato un accordo di massima che prevedeva un passo indietro di Sarraj e la costituzio­ne di un consiglio di presidenza con tre componenti, uno per ognuna delle regioni libiche, coordinato da un garante. Uno scenario che avrebbe dovuto costituire la base del vertice di Gadames ma che al principale sponsor di Haftar, la Francia, non sarebbe risultato particolar­mente gradito.

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