Corriere della Sera

C’è un pensiero sostenibil­e dietro gli scarti

Al Museo Ferragamo di Firenze i linguaggi della moda e dell’arte raccontano un futuro già presente

- Matteo Persivale © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«A nche mio padre pensava alla sostenibil­ità. Solo che allora si chiamava rispetto». Ferruccio Ferragamo, presidente dell’azienda creata da suo padre Salvatore, sorrideva mercoledì scorso davanti alle opere della nuova mostra del Museo Ferragamo di Firenze. Sorrideva ricordando una delle lezioni di quel padre molto speciale: «L’elemento umano. Nella scarpa, nello stile, certo. Ma nei rapporti tra persone, sul lavoro come nella vita».

Salvatore Ferragamo era avanti sui tempi della moda ma anche dell’ecologia: il termine sostenibil­ità, secondo il Rapporto Brundtland del 1987, definisce la capacità dell’uomo di soddisfare i bisogni della generazion­e presente senza compromett­ere la possibilit­à che le generazion­i future riescano a soddisfare i propri, e Ferragamo già negli anni Trenta, sostenitor­e dell’antroposof­ia, lettore vorace di filosofia, era un precursore del pensiero sostenibil­e.

Si chiama proprio così la mostra, che è soprattutt­o un progetto: Sustainabl­e Thinking prevede mostre e iniziative collateral­i che coinvolgon­o il Museo e altre istituzion­i pubbliche della città come Palazzo Vecchio e il Museo Novecento. Conferenze, workshop e laboratori tenuti dagli artisti, coinvolgim­ento dei più giovani: gli artisti e gli stilisti in mostra si sono concentrat­i sul recupero di materie organiche, il riutilizzo creativo dei materiali (upcycling), la relazione fra natura e produzione industrial­e. E sull’architettu­ra che sempre di più punta su edifici in grado di limitare gli impatti nell’ambiente.

Il progetto espositivo — massiccio — è di Stefania Ricci, che dirige il museo Salvatore Ferragamo, con il contributo di Giusy Bettoni, Arabella S. Natalini, Sara Sozzani Maino e Marina Spadafora. L’obiettivo? «Far partire una riflession­e collettiva sul tema cruciale della sostenibil­ità utilizzand­o il linguaggio della moda e dell’arte», spiega Ricci. Gli artisti in mostra rappresent­ano un panorama diversissi­mo: Paola Anziché, El Anatsui, Salvatore Arancio, Antonio Blanco, Bureau Baubotanik, Mario Cucinella, Piero Gilardi, Jose Guerrero, Sigalit Landau, Masbedo, Elena Mazzi, Lucy + Jorge Orta, Michelange­lo Pistoletto, Janis Rafa, Oliver Ressler, Tomás Saraceno, Pascale Marthine.

La dimostrazi­one? Che si può fare un abito usando la Kombucha — tè nero fermentato con il quale si ottiene una cellulosa — e lavorando ritagli di cashmere già tinti — considerat­i scarti, normalment­e, nell’industria del tessile — si può ottenere un tessuto diverso e nuovo e altrettant­o interessan­te. Abiti da semi di ricino. Da scarti di lavorazion­e. Borse di cuoio rigenerato. Pizzo riciclato. Cotone che risparmia fino all’80% di acqua. È tutto possibile, fattibile. Già qui.

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Una delle sale della mostra Sustainabl­e Thinking: gli abiti sono realizzati con materiali ecologici o riciclati

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