DUE RUOTE DI BELLEZZA
BORGHI, FIUMI, MUSEI E CHIESETTE IN BICI PER LA VALLE DELL’ADIGE DOVE LA NATURA BATTE IL TEMPO
C’ è un uomo di cinquant’anni che pare pronto per il record dell’ora; la bicicletta da migliaia di euro, una tutina azzurrognola attillata con cui io non uscirei di casa. C’è il papà che non aveva ancora fatto sport nel nuovo Millennio, con il figlio pieno di ginocchiere dappertutto per input materno. C’è la ragazza con le gambe sportive, i calzini verdi, e supera i maschi, e ti vien voglia di riprenderla. Ci sono due che si tengono per mano tra i manubri, gli zaini, quel poco di avventura dentro, e panini chiusi nei tovaglioli.
E vanno piano, senza importanza, l’uno vicina all’altra, e pare che sappiano volersi bene. Ci sono venti maschi che ridono, si fan scherzi, si fermeranno presto. Le tre amiche che chiacchierano giulive, e il signore che avrà settant’anni, la pelle abbronzata, un tatuaggio. E poi ci sono io, che guardo le Alpi, e sogno Pantani, e Coppi, e Sagan, tutti insieme, e scendo giù, pedalando, dalla Piana Rotaliana. Provo ad andar forte.
È bello, il Trentino. È fresco, pieno di primavera. È bella la strada, quel fruscio che fa la bicicletta nell’aria. La terra, il legno delle staccionate, i campanili, i forti, le rocce, l’acqua. Potrei fermarmi, sì. Potrei fermarmi a Trento, Trento bianca e seria, il Duomo e Renzo Piano, gli aerei nel Museo dell’aeronautica, gli studenti di giurisprudenza. Potrei fermarmi più giù, a Rovereto, il Mart, la piccola perla di Borgo Sacco, le stradine, la Campana dei Caduti, quel sapore aspro di confine e morbido di carne salada.
O magari salire a Besenello, Sabbionara d’avio, a cercare i castelli, a sentire i muscoli che tirano, e la fatica, e l’aria buona. E poi deviare, cercare le case vecchie, quelle fatte di mattoni, che stanno lì da secoli, a sorvegliare la valle, a nascondere la gente, e sedermi in mezzo a un prato, con l’erba tiepida dal sole, e pensare a niente. Farmi la strada mia, la pista mia, nella pista di tutti. Potrei bere qualcosa, a Mezzocorona o nei bicigrill lungo la strada; niente di che, un poco d’acqua, che gli integratori non mi piacciono, e per la birra c’è tempo, quella è il premio dell’arrivo. Ma poi mi accorgo che non voglio fermarmi, che è bello andare così, tra il Teroldego e il Marzemino, i germani reali e le mele, il verde che è sempre diverso, e il profumo che ha piovuto, e sempre l’adige lì, l’adige che pare amaro, dal colore. Adige fiume furioso, Adige senza poesie. Da ragazzino, andavo sempre in bicicletta. A Venezia, quand’ero bambino, anche se a Venezia in bici non si può andare.
Rischiavi di colpire qualche arzilla autoctona, a svoltare veloce nelle calli strette e poi arrivavano i vigili, e ti facevano scendere, quando si allontanavano tu montavi di nuovo in sella. E sognavo di essere Gianni Bugno. E poi, più grande, salivo in Cadore apposta, e mi perdevo, lì, nei boschi, tra le piante, che un poco somigliano a queste, e mi piaceva togliere le mani dal manubrio, e chiudere gli occhi per qualche istante, o mettermi a salire, verso qualche chiesetta, verso un panorama.
Arrivare, per tornare indietro, far veloce la discesa; un poco di pioggia, un poco di umido. Non scappavo da niente, scappavo da tutto. Qualche volta lo faccio ancora, e anche adesso è così. Solo a montare sulla bicicletta, diventi subito diverso. Solo a pedalare, c’è qualcosa che ti fa sentire libero, nel posto giusto.
Dopo cinque, sei ore arriva il Veneto, e ancora ci sono gli argini, e le stradine in mezzo alla campagna, e la fatica, tutta quella fatica che ti rende autentico. Ecco Borghetto; deliziosa, silenziosa, fatta per baciarsi. Mi sono meritato una birra, e c’è il rumore dell’acqua, un incantesimo, quattro chiacchiere con chi ha fatto la tua strada.
La ragazza con i calzini verdi non c’è, e neanche il papà con il bambino. L’uomo del record dell’ora sarà già tornato a casa, e i venti maschi, alla fine, ce l’hanno fatta a farla tutta, senza sforzo. Si sono divertiti. Chiudo gli occhi, c’è un po’ d’aria anche se sono fermo, sto bene. Finalmente sono arrivato, finalmente si può ripartire.
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La terra, il legno delle staccionate, i campanili, i forti, le rocce, l’acqua. Potrei fermarmi, sì