Corriere della Sera

DUE RUOTE DI BELLEZZA

BORGHI, FIUMI, MUSEI E CHIESETTE IN BICI PER LA VALLE DELL’ADIGE DOVE LA NATURA BATTE IL TEMPO

- Di Giovanni Montanaro

C’ è un uomo di cinquant’anni che pare pronto per il record dell’ora; la bicicletta da migliaia di euro, una tutina azzurrogno­la attillata con cui io non uscirei di casa. C’è il papà che non aveva ancora fatto sport nel nuovo Millennio, con il figlio pieno di ginocchier­e dappertutt­o per input materno. C’è la ragazza con le gambe sportive, i calzini verdi, e supera i maschi, e ti vien voglia di riprenderl­a. Ci sono due che si tengono per mano tra i manubri, gli zaini, quel poco di avventura dentro, e panini chiusi nei tovaglioli.

E vanno piano, senza importanza, l’uno vicina all’altra, e pare che sappiano volersi bene. Ci sono venti maschi che ridono, si fan scherzi, si fermeranno presto. Le tre amiche che chiacchier­ano giulive, e il signore che avrà settant’anni, la pelle abbronzata, un tatuaggio. E poi ci sono io, che guardo le Alpi, e sogno Pantani, e Coppi, e Sagan, tutti insieme, e scendo giù, pedalando, dalla Piana Rotaliana. Provo ad andar forte.

È bello, il Trentino. È fresco, pieno di primavera. È bella la strada, quel fruscio che fa la bicicletta nell’aria. La terra, il legno delle staccionat­e, i campanili, i forti, le rocce, l’acqua. Potrei fermarmi, sì. Potrei fermarmi a Trento, Trento bianca e seria, il Duomo e Renzo Piano, gli aerei nel Museo dell’aeronautic­a, gli studenti di giurisprud­enza. Potrei fermarmi più giù, a Rovereto, il Mart, la piccola perla di Borgo Sacco, le stradine, la Campana dei Caduti, quel sapore aspro di confine e morbido di carne salada.

O magari salire a Besenello, Sabbionara d’avio, a cercare i castelli, a sentire i muscoli che tirano, e la fatica, e l’aria buona. E poi deviare, cercare le case vecchie, quelle fatte di mattoni, che stanno lì da secoli, a sorvegliar­e la valle, a nascondere la gente, e sedermi in mezzo a un prato, con l’erba tiepida dal sole, e pensare a niente. Farmi la strada mia, la pista mia, nella pista di tutti. Potrei bere qualcosa, a Mezzocoron­a o nei bicigrill lungo la strada; niente di che, un poco d’acqua, che gli integrator­i non mi piacciono, e per la birra c’è tempo, quella è il premio dell’arrivo. Ma poi mi accorgo che non voglio fermarmi, che è bello andare così, tra il Teroldego e il Marzemino, i germani reali e le mele, il verde che è sempre diverso, e il profumo che ha piovuto, e sempre l’adige lì, l’adige che pare amaro, dal colore. Adige fiume furioso, Adige senza poesie. Da ragazzino, andavo sempre in bicicletta. A Venezia, quand’ero bambino, anche se a Venezia in bici non si può andare.

Rischiavi di colpire qualche arzilla autoctona, a svoltare veloce nelle calli strette e poi arrivavano i vigili, e ti facevano scendere, quando si allontanav­ano tu montavi di nuovo in sella. E sognavo di essere Gianni Bugno. E poi, più grande, salivo in Cadore apposta, e mi perdevo, lì, nei boschi, tra le piante, che un poco somigliano a queste, e mi piaceva togliere le mani dal manubrio, e chiudere gli occhi per qualche istante, o mettermi a salire, verso qualche chiesetta, verso un panorama.

Arrivare, per tornare indietro, far veloce la discesa; un poco di pioggia, un poco di umido. Non scappavo da niente, scappavo da tutto. Qualche volta lo faccio ancora, e anche adesso è così. Solo a montare sulla bicicletta, diventi subito diverso. Solo a pedalare, c’è qualcosa che ti fa sentire libero, nel posto giusto.

Dopo cinque, sei ore arriva il Veneto, e ancora ci sono gli argini, e le stradine in mezzo alla campagna, e la fatica, tutta quella fatica che ti rende autentico. Ecco Borghetto; deliziosa, silenziosa, fatta per baciarsi. Mi sono meritato una birra, e c’è il rumore dell’acqua, un incantesim­o, quattro chiacchier­e con chi ha fatto la tua strada.

La ragazza con i calzini verdi non c’è, e neanche il papà con il bambino. L’uomo del record dell’ora sarà già tornato a casa, e i venti maschi, alla fine, ce l’hanno fatta a farla tutta, senza sforzo. Si sono divertiti. Chiudo gli occhi, c’è un po’ d’aria anche se sono fermo, sto bene. Finalmente sono arrivato, finalmente si può ripartire.

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La terra, il legno delle staccionat­e, i campanili, i forti, le rocce, l’acqua. Potrei fermarmi, sì

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Estate Vallagarin­a, 2007, ciclisti (foto di Ronny Kiaulehn, Fototeca Trentino Sviluppo S.P.A.)
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