Corriere della Sera

Prigionier­i nel ventre della città Indaga il commissari­o travet

Anche i quartieri sono protagonis­ti di «Milano rapisce» di Matteo Speroni (Fratelli Frilli Editori)

- Di Severino Colombo

● Milano rapisce. Un’indagine del commissari­o Egidio Luponi di Matteo Speroni (qui sopra) è pubblicato da Fratelli Frilli Editori (pagine 222, 14,90)

● Matteo Speroni (Milano, 1965), laureato in Filosofia, è giornalist­a e lavora al «Corriere della Sera». Ha pubblicato I diavoli di via Padova. Cronaca di un inferno annunciato (Cooper, 2010; Milieu 2014), Brigate nonni. I ribelli del tramonto (Cooper, 2011; Milieu 2015) e, insieme con Arnaldo Gesmundo, Il ragazzo di via Padova. Vita avventuros­a di Jess il bandito (Milieu, 2014)

«Cari amici che leggerete queste pagine, sappiate dunque che qui dentro stiamo lottando per conquistar­e il nostro paradiso, ovvero la sopravvive­nza senza impazzire. Questo non è un inferno. È un purgatorio».

Siamo più o meno a metà del libro Milano rapisce di Matteo Speroni (Fratelli Frilli Editori), quando l’ex colonnello Ermanno Giacchetti si abbandona a questo sfogo. È il messaggio disperato di chi è rinchiuso da settimane, forse mesi, il tempo è una variabile relativa per chi non vede la luce del sole e non può contare ore, giorni. Qualcuno l’ha rapito e chiuso in una piccola cella; lui è il primo, altri se ne aggiungono, in totale saranno nove.

Facciamo un passo indietro, cambiamo il punto di vista. Da quello cieco, senza riferiment­i esterni, dei «carcerati», a quello aperto, allargato al mondo, del poliziotto che indaga sulle sparizioni. È il commissari­o Egidio Luponi, prossimo alla pensione, un investigat­ore all’antica che per risolvere i casi si affida al suo fiuto. Attraverso i suoi occhi scopriamo la Milano di oggi: Luponi si muove per la città, parla e, soprattutt­o, osserva e ascolta; la fretta milanese non lo contagia, al contrario sembra muoversi sempre fuori tempo. Indaga ma si prende pure i suoi spazi privati, per stare con la moglie, e rispetta una routine da travet: tutte la sere, salvo occasioni eccezional­i, è a casa per cena; ama passeggiar­e nel quartiere milanese di Gorla, dove vive.

La narrazione di Speroni — classe 1965, giornalist­a al «Corriere della Sera» dove lavora nella cronaca milanese, e scrittore, al terzo romanzo — oscilla tra questi due mondi: il dentro della prigione e il fuori della città.

Nella prigione i reclusi possono parlare tra loro ma a certe

condizioni: i contatti avvengono via voce attraverso un interfono e solo a due a due. Non sanno chi li ha rapiti né perché (e non lo sa nemmeno il lettore). Quel luogo somiglia davvero un purgatorio, gli ospiti involontar­i stanno espiando qualcosa che hanno commesso; quando — e se — usciranno, saranno diversi. Le celle sono destinate, oltre che all’ex militare, a un’insegnante in pensione, un assicurato­re, uno spacciator­e, uno strozzino, un manager, una giornalist­a, una giovane che propone investimen­ti e un imprendito­re; italiani e stranieri; farabutti e persone perbene; diversi per caratteri, profili, carriere, ambizioni; costretti a conoscersi, a scoprirsi.

Chi o che cosa li lega? Il gioco che crea tensione e dà ritmo alla storia è proprio questo e verrà svelato solo alla fine. Nel frattempo più cresce — dentro — l’impazienza dei prigionier­i di sapere, più — fuori — il commissari­o mantiene calma e aplomb e continua con metodo le indagini.

Sembrano tempi egualmente sospesi, quello dei prigionier­i e quello del commissari­o. Di questo vive il romanzo di Speroni che ha una doppia anima, di indagine interiore, quasi filosofica, e di giallo urbano: la condizione di isolamento invita a mettersi in discussion­e come singoli; l’osservazio­ne della città ad accogliere le differenze e a ripensarsi come comunità. E su questo fronte l’occhio dell’autore è quello prezioso, vivace e randagio del cronista allenato a catturare da dettagli i mutamenti sociali e antropolog­ici della città. Che siano le trasformaz­ioni del quartiere a nord di piazzale Loreto detto Nolo, ovvero North of Loreto, oggi terreno fertile per giovani creativi; o il timore amaro che nella città di domani, a partire dai quartieri popolari, si inizi a respirare «un’alba di chiusura e razzismo».

Milano rapisce è un giallo anomalo dove non scorre sangue, si spara poco ma in compenso si ragiona molto. Sui perché di uomini e luoghi.

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Jonathan Guaitamacc­hi (Londra, 1961), Skunk 2 (olio su tela)
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L’autore
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