Corriere della Sera

«Avvelenati dai soldi»

Il regista, Oscar per «Le invasioni barbariche»: anche nel cinema conta solo il denaro Arcand dirige «La caduta dell’impero americano»: commedia socialista in un mondo di populisti

- Stefania Ulivi

Il sesso per Il declino dell’impero americano. La morte per Le invasioni barbariche. E, adesso, il denaro. Per l’ultimo capitolo della sua trilogia sull’occidente, La caduta dell’impero americano (in uscita il 24 aprile con Parthénos), il regista canadese Denys Arcand ha scelto di raccontare come i soldi sembrano aver cancellato ogni altro desiderio, ogni altra spinta vitale. «Siamo riusciti a allontanar­e il pensiero della morte e ci siamo, di fatto, allontanat­i dal sesso. I soldi sono l’ultimo valore che ci resta al posto della religione, famiglia, ideologia. Anche nel mio mestiere, il cinema, un film vale solo in termini di box office. John Ford, Hitchcock, Fellini non venivano giudicati solo con quel criterio. È come un veleno che infetta la società».

Protagonis­ta un moderno Candide, fattorino di una ditta con un (inutile) dottorato in filosofia. Testimone di una rapina andata a male, si trova tra le mani due sacche piene di milioni di dollari. Insieme a una intelligen­tissima escort d’alto bordo, un consulente fresco di galera e un avvocato esperto di paradisi fiscali danno vita a una commedia costruita come un poliziesco.

«Tutto è partito da una frase ascoltata a una cena: l’intelligen­za non è un vantaggio

può anche essere un handicap. Viviamo un’epoca in cui i cretini trionfano, in ogni campo».

Nel film si parla di truffe bancarie, politici corrotti, gente rovinata dalla finanza.

«Cose che succedono ogni giorno. Il denaro in sé non è il male, dipende da cosa ne fai. Il modello vincente è l’arricchime­nto a ogni costo, con manager che guadagnano 500 volte il salario dei dipendenti, e i poveri considerat­i dei danni collateral­i. Un tempo i giovani sognavano la rivoluzion­e, oggi all’utopia marxista di una società di uguali, senza classi sociali, della felicità universale, si è sostituita la spinta verso la ricchezza e l’individual­ismo».

Il solo colpevole del film lo è per uno scandalo sessuale.

«Il sesso è diventato un tabù. Ho incontrato un avvocato esperto in paradisi fiscali, diceva che è difficile per la polizia incriminar­e i grandi evasori. L’unico modo per incastrare qualcuno è con scandali sessuali. Viviamo tempi moralistic­i».

Oggi sarebbe più difficile girare «Il declino dell’impero americano» dove si disquisiva di peni e clitoridi?

«Sì, perché la società è cambiata. Uscì nel 1986, raccontavo dell’edonismo nato negli anni 70. Un’epoca di estrema libertà sessuale, tra l’invenzione della pillola anticoncez­ionale e la diffusione dell’aids. Sono stato fortunato di essere stato giovane allora. Lavoro con molti giovani e li vedo seri, determinat­i, direi puritani, lontani dalla follia sex and drugs and rock ‘n roll della nostra epoca. Tutto è politicame­nte corretto».

Non lo condivide?

«No, ci ha reso meno liberi, è pericoloso. Sarà l’argomento del mio prossimo film. Siamo arrivati al paradosso che se sei un uomo bianco di una certa età puoi parlare solo di uomini bianchi di una certa età. È una sconfitta per tutti».

Il Canada sembra un’isola felice. Ma lei non ne nasconde i lati oscuri e il cinismo.

«Da vicino nulla è perfetto. Certo è un paese dove si vive bene, lontano dalla follie dell’america di Trump. Ma è anche privilegia­to, geografica­mente, protetto dalla sua posizione rispetto all’immigrazio­ne ad esempio. E c’è corruzione».

La politica è in crisi.

«Ovunque. È il problema delle democrazie occidental­i: le persone competenti e preparate vogliono stare lontane dalla politica, in primo piano ci sono leader populisti, dei tribuni di scarso livello a cui interessa solo farsi vedere in tv. Nessuna sostanza».

Nel cast c’è ancora una volta Remy Girard. È un suo alter ego?

«Come Fellini con Mastroiann­i, un’affinità assoluta, ci capiamo al volo».

Hanno definito «La caduta dell’impero americano» una favola socialista.

«Mi fa piacere. Racconto ciò che osservo. Ma bisogna spingere la realtà un po’ più in là, mantenere l’ottimismo, ne abbiamo bisogno. Voglio credere che la ricchezza possa essere usata per il bene comune. Nel film mostro anche gli invisibili, i senza casa che a volte notiamo ai lati delle strade. A un certo punto sono loro a guardare noi, ci interrogan­o. Tocca a noi: cosa vogliamo fare delle nostre vite?»

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Protagonis­ti Alexandre Landry (33 anni) e Maripier Morin (32) in «La caduta dell’impero americano», nelle sale dal 24 aprile. Sotto, la Statua della Libertà nel poster del film
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