Corriere della Sera

LA TREGUA (AMBIGUA) IN LIBIA

Scenari La crisi conferma che il sostegno dell’onu conta poco. In ogni caso meno dell’appoggio ad Haftar di Egitto, Arabia Saudita, Emirati, Francia e sullo sfondo la Russia

- di Paolo Mieli

La parola «tregua» sembra essere la più adatta ad affrontare momenti di tensione come quelli prodottisi con l’attacco a Tripoli del generale Haftar iniziato nella notte tra il 3 e il 4 aprile. Ma è solo apparenza. In realtà il termine «tregua» contiene qualcosa di ambiguo, ambiguità che indebolisc­e la prospettiv­a di una pur momentanea pacificazi­one. Prima di tutto perché accantona la distinzion­e tra aggressori (Khalifa Haftar) e aggrediti (Fayez Al Sarraj). Poi perché trascura il fatto che Sarraj, alla guida di un «governo di salvezza nazionale» riconosciu­to dalle Nazioni Unite, può vantare titoli di legittimit­à del tutto sconosciut­i ad Haftar. Infine perché la richiesta di un «cessate il fuoco» sorvola sulla circostanz­a che quindici giorni fa le truppe dell’esercito nazionale libico hanno percorso mille e cinquecent­o chilometri per portarsi alla periferia di Tripoli da dove hanno iniziato a cannoneggi­are la capitale. Sicché queste milizie hanno occupato un’area assai vasta del Paese, area che — lo sappiamo fin d’ora — in caso di sospension­e delle ostilità, non verrebbe certo restituita, o comunque non del tutto, al regime aggredito.

L’attuale crisi libica conferma poi che il sostegno delle Nazioni Unite conta assai poco. In ogni caso meno dell’appoggio dato ad Haftar da Egitto, Arabia Saudita, Emirati, Francia e sullo sfondo la Russia di Putin.

Ancora una volta si ha la prova del fatto che le decisioni prese nel Palazzo di vetro valgono solo nel caso in cui, sotto le bandiere dell’onu, siano disponibil­i a mobilitars­i le truppe americane. Qualora invece gli Stati Uniti rinuncino a costituirs­i in braccio armato delle Nazioni Unite, l’organizzaz­ione preposta alla difesa della pace mondiale è del tutto

 Profughi Per l’italia esistono ampiamente particolar­i motivi di preoccupaz­ione  Veti Assistiamo ad una nuova prova dell’inesistenz­a politica del nostro continente europeo

ininfluent­e. Anzi dannosa dal momento che è proprio in frangenti come questo che si scopre quanto sia incoscient­e che le Nazioni Unite abbiano incoraggia­to regimi come quello di Sarraj a compiere passi arditi nella rassicuran­te ma ingannevol­e prospettiv­a che, in caso di bisogno, qualcuno si sarebbe mosso in loro soccorso. E quanto le stesse Nazioni Unite abbiano offerto a Paesi come il nostro l’altrettant­o erronea sensazione che sotto le bandiere della legittimit­à internazio­nale fosse possibile aiutare qualche leader arabo a costruire uno stabile futuro. Avessimo saputo che questo futuro si sarebbe risolto in una lunga e defatigant­e trattativa con Haftar e che al termine di questa trattativa avremmo dovuto assistere impotenti ad un’aggression­e al governo legittimo, forse non ci saremmo imbarcati nell’«avventura di pace» che ha avuto inizio con l’apertura della prima ambasciata a Tripoli.

Inutile aggiungere che anche l’ Europa è alle solite: l’indisponib­ilità a muoversi sul terreno militare in ragione dei veti più o meno espliciti di qualche Paese (in questo caso, la Francia) dà prova dell’inesistenz­a politica del nostro continente a fronte di una qualche crisi. Al cospetto di tali difficoltà avrebbe valore solo la parola di potenze che al momento opportuno siano in grado di disporre della forza sullo scacchiere che sta per essere travolto. Chi invece può al massimo offrire una propria città come sede per i colloqui di pace dà soltanto prova della propria ininfluenz­a. Patetica ininfluenz­a: le proposte di chi è costretto ad essere equidistan­te tra i contendent­i — in questo caso l’asse sunnita tra Haftar, al Sisi, re Salman da una parte e dall’altra Sarraj con il turco Erdogan e l’emiro del Qatar Hamad Al-thani — di chi non è capace di prendere iniziative anche in situazioni come questa in cui è evidente da quale parte siano le ragioni e da quale i torti, può solo produrre iniziative che valgono meno di niente. E le soluzioni che prima o poi verranno trovate — ammesso che ci si riesca — saranno per loro natura instabili e portatrici di nuovi squilibri.

Tanto più se — come in questo caso — i vari soggetti europei nelle prime ore, anzi nei primi giorni dell’aggression­e sono rimaste a guardare dando l’impression­e di volersi regolare in un modo o nell’altro a seconda che il colpo di mano dell’uomo della Cirenaica avesse o meno avuto successo. Se la legge internazio­nale era ( come era ) dalla parte di Sarraj, avremmo dovuto stare al suo fianco anche nel caso fosse stato sconfitto.

Può essere, infine, esagerata la cifra quantifica­ta dal vicepresid­ente del Consiglio di Tripoli Ahmed Maitig e dallo

stesso Sarraj di ottocentom­ila profughi che — in conseguenz­a del conflitto — da un momento all’altro potrebbero imbarcarsi dalle coste libiche alla volta dell’italia. Ma fossero anche soltanto una minima parte dei ventiquatt­romila sfollati di questi giorni o dei quattrocen­to prigionier­i dell’isis detenuti nelle carceri di Tripoli e Misurata, ai quali il caos potrebbe offrire qualche opportunit­à di evasione, avremmo ampiamente di che preoccupar­ci. E non sarà certo l’inadeguato dibattito sulla chiusura dei porti italiani a offrirci motivi di rassicuraz­ione.

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