«Devi cambiare il bilancio dell’ama» Le parole che imbarazzano la sindaca
Esposto (e conversazioni registrate) dell’ex dirigente licenziato. Raggi non è indagata
ROMA «I romani si affacciano e vedono la m...» dice la sindaca Virginia Raggi, registrata da Lorenzo Bagnacani, ex amministratore delegato della municipalizzata dei rifiuti (Ama) licenziato dal Campidoglio lo scorso febbraio, quando la lite sul bilancio aziendale era esplosa in tutta la sua gravità. Parole agli atti della Procura, perché Bagnacani da manager defenestrato si è trasformato in grande accusatore dei vertici capitolini, prima depositando un esposto e, ora, integrando quella denuncia con gli audio delle sue conversazioni con la sindaca.
Dal suo primo esposto, nei mesi scorsi, è partita l’inchiesta dei magistrati Paolo Ielo e Luigia Spinelli nella quale si ipotizza una tentata concussione — i vertici capitolini avrebbero premuto sul collegio sindacale dell’ama affinché modificasse il bilancio — per la quale ci sono già i primi indagati, il direttore generale Franco Giampaoletti (che finora ha sempre smentito) il suo vice Giuseppe Labarile e l’ex ragioniere generale capitolino Luigi Botteghi. Ora, il nuovo materiale depositato in Procura dimostrerebbe non solo che le pressioni per far andare il bilancio in rosso ci furono, ma che a quelle pressioni avrebbe preso parte la stessa sindaca. Perché al di là della descrizione (più o meno colorita) della situazione rifiuti, dagli audio pubblicati dall’espresso emerge anche il diktat della sindaca nei confronti del suo manager: «Devi modificare il bilancio. (...) Anche se loro dicono che la luna è piatta. (...) Il socio ti chiede di fare una modifica: la devi fare».
Frasi che vanno lette anche alla luce di quanto è accaduto successivamente, quando Bagnacani è stato estromesso dalla municipalizzata, per non essersi adeguato agli ordini venuti dall’alto. Nei prossimi giorni è possibile che l’ex ad venga nuovamente ascoltato dagli investigatori.
Monta così un nuovo caso che rischia di travolgere la prima cittadina pentastellata, dopo anni di bufere giudiziarie, avvicendamenti di assessori, processi politici. Parole, quelle di Raggi, che denunciano impotenza nell’amministrazione della Capitale. Secondo l’opposizione e non solo — anche gli alleati della Lega si lanciano all’attacco — si tratterebbe di un’ammissione di incapacità della sindaca.
Il nuovo atto d’accusa di Bagnacani, intanto, potrebbe portare a un salto di qualità investigativo. Potenzialmente, infatti, le frasi di Raggi, acquisite dai magistrati, sono prove di una pressione esercitata nei confronti del suo ex dirigente.
Ma la sindaca si difende su Facebook e lancia la controffensiva: «Molto rumore per nulla. Indagano il governatore dell’umbria Catiuscia Marini per concorsi truccati nella sanità; il sottosegretario della Lega Armando Siri per una presunta tangente di 30 mila euro tra Sicilia e Liguria; il segretario del Pd e Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, per finanziamento illecito... Ma parlano di me». E sul linguaggio disinvolto, non proprio istituzionale, emerso dalle registrazioni ammette: «Uso parolacce, ma non me ne vergogno perché sono incazzata quando vedo chi pensa a prendere i premi aziendali piuttosto che a pulire la città. Perché questo è quello che si ascolta in quegli audio». Nel respingere gli attacchi, la sindaca insiste su quello che, a suo avviso, sarebbe stato il vero motivo di scontro: «Nessuna pressione, ma solo tanta rabbia per chi non ha fatto bene il lavoro per il quale era pagato. Si pretendeva che approvassi un bilancio con il quale i dirigenti di Ama avrebbero avuto centinaia di migliaia di euro in più. I vertici del Campidoglio hanno bocciato la proposta dell’ex ad Bagnacani. Ed io e la mia giunta abbiamo votato contro come avrebbe fatto qualsiasi romano». E ancora: «Addirittura si ipotizzava che aumentassi la tassa dei rifiuti, mentre in azienda sarebbero continuati ad arrivare i premi a pioggia. Mi sono ribellata e non me ne pento». Le opposizioni però, da Antonio Tajani (FI) a Roberto Morassut (Pd), la accusano di «fallimento» e ne chiedono le dimissioni.