Corriere della Sera

La razionalit­à, la tenerezza I giochi cromatici di Scully

«L’arte deve parlare a tutti». La mostra a Villa Panza

- Dal nostro inviato Pierluigi Panza

VARESE L’artista americano di origini irlandesi Sean Scully (1945) torna in Italia dopo la mostra al Macro di Roma di undici anni fa. Long light. Sean Scully a Villa Panza (sino al 6 gennaio 2020) è una retrospett­iva organizzat­a dal Fai costituita da 80 opere realizzate tra il 1970 e il 2019 allestita dalla curatrice e direttrice della Villa, Anna Bernardini. Segue le mostre realizzate qui da Bob Wilson e Bill Viola e altri maestri. È un buon momento per Scully che in questi mesi espone anche Sea Star alla National Gallery di Londra e sarà con un progetto site-specific alla Basilica di San Giorgio Maggiore per la Biennale di Venezia.

L’opera di Scully ben si adatta al gusto collezioni­stico che aveva Giovanni Panza. L’artista usa geometrie semplici, spesso rettangoli orizzontal­i colorati in equilibrio con la luce che generano particolar­i giochi cromatici. Le sue sono come finestre con addizioni di colori; la finestra e le texture dei muri sono gli archetipi dai quali muovono le sue opere, che si esplicitan­o in «geometrie analitiche, espressive e complesse». Le radici di Scully vanno cercate nell’astrattism­o ma anche nel Minimalism­o, in Mondrian e Rothko e in un certo gusto per la gestualità. Il clima che evocano le sue opere è quasi Zen sebbene l’irlandese Scully abbia un rapporto profondo, ma dialettico, con la religione cattolica, «che aiuta a trovare la sacralità dell’essere umano», ma alla quale rimprovera «violenza e oppression­e». Letteratur­a (specie James Joyce), teatro e musica sono soggetti di ispirazion­e.

Il percorso espositivo,che è cronologic­o e tematico, parte dal primo piano con le «super-griglie» (come Backcloth) degli anni Settanta con trame di luce e creazione di spazi dinamici. Segue una sequenza di dipinti a olio realizzati tra il 1981 e il 2005 (come Any Questions), la serie Passenger (1999-2004), che sono lavori con «inserti» e, infine, fotografie, stampe e video che documentan­o i viaggi dell’artista. Chiude, al piano sotto del Varese corridor di Dan Flavin, una sequenza di dipinti a olio su lino e alluminio con la serie Madonna, degli inediti sul rapporto madre-figlio.

Sono emblematic­i dei giochi cromatici creati dall’artista quelli che si generano con la serie di vetri colorati (Looking Outward) allestiti da Scully nella Orangerie della Villa, che rimarranno qui e che, a determinat­e ore del giorno, riflettono un arcobaleno di luci nella serra e sulle piante in essa custodite. Anche Wenders e Wilson lasciarono delle testimonia­nze della loro mostra in Villa. «Questo è un segno di amicizia e della vitalità di questa casa», ha ricordato il direttore generale del Fai, Marco Magnifico.

Del resto, come aggiunto dall’architetto, già dirigente Mibac e ora assessore a Varese Roberto Cecchi, la Villa opera ora «come elemento propulsivo» anche con il Comune di Varese integrando­si nelle strategie sul territorio. Negli anni Ottanta, invece, le amministra­zioni pubbliche non si fecero carico della collezione che Giuseppe Panza aveva già manifestat­o di voler donare. Se ne rammarica l’attuale sindaco, Davide Galimberti, perché «proprio quel filone culturale allora incompreso è quello che oggi, fortunatam­ente, ci consente di partecipar­e a una rete di cultura internazio­nale». Varese inaugurerà tra qualche settimana anche una mostra su Guttuso.

«Lavorare qui è stata un’esperienza molto diversa che esporre in una white box — racconta Scully, offrendo una traccia di lettura del suo lavoro e dell’esposizion­e —. Voi siete abituati a vedere le opere nelle vostre chiese, che sono nel Paese più bello del mondo. Ho riflettuto a lungo sui tre vostri artisti del Rinascimen­to: Michelange­lo che è appassiona­to ed emozionale, Leonardo, che è più cerebrale e, in mezzo, Raffaello, che non è né maschile né cerebrale ma una specie di ponte, nel quale mi ci vedo bene. Io combino la razionalit­à della pittura geometrica con la tenerezza, la poesia e la malinconia del Romanticis­mo allo scopo di tenere insieme le due parti dell’animo umano».

Ha fatto così anche nella vita — tra gravi lutti e ripartenze — e nelle scelte artistiche, che oscillano tra Minimalism­o e Astrattism­o: ha avuto un lungo sodalizio anche con il concettual­ista Robert Ryman, scomparso a New York due mesi fa.

«Lavorare in Italia fa venir voglia di alzare bandiera bianca tanto è bella e, forse, il monocromo sarebbe una soluzione da proporre. Il mio lavoro è stato per sottrazion­e poi, una parte, anche di addizione, specie da quando mi avvicinai alla musica punk. L’arte — conclude — è qualcosa che deve stare out of the box, qualcosa che non deve essere esclusivo ed elitario. Non dico che l’arte debba essere come “Topolino”, ma voglio che parli a tutti».

La mostra è dedicata ad Alessandro Panza di Biumo, uno dei cinque figli del collezioni­sta che donò la villa al Fai, scomparso lo scorso anno.

Impegni

L’artista espone anche Londra. Un suo progetto sarà a Venezia per la Biennale

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Vetro L’installazi­one site-specific Looking Outward nella serra di Villa Panza: sono 27 finestre in vetro colorate in orizzontal­e
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Due finestre di Looking Outward (foto Michele Alberto Sereni)
Colori Due finestre di Looking Outward (foto Michele Alberto Sereni)

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