Una passerella di grandi autori tra mercato e diplomazie
Una ricca passerella di autori riconosciuti, una «giusta» percentuale femminile, un’ esordiente perché non si dica che ci sono solamente i «soliti noti», il tutto all’insegna del romantique e del politique: Cannes non si smentisce e il suo delegato generale (leggi: direttore) Thierry Frémaux può presentare la 72ª edizione con una bella dose di compiaciuti sorrisi. Certo all’elenco della sua «sélection officielle» manca la perla Tarantino ma la risposta a chi ne chiedeva le ragioni lascia intendere che arriveranno presto altri titoli (che cosa non si fa per conquistare spazio sui media) e che il regista americano sta facendo i salti mortali per terminare Once Upon a Time in Hollywood. Il resto è tutto più o meno chiaro: un’apertura all’insegna della rivisitazione di genere ma d’autore con gli zombie di Jarmusch e un cast da far esplodere i flash (Bill Murray, Tilda Swinton, Adam Driver, Chloë Sevigny, Steve Buscemi, Selena Gomez), l’autofiction di Almodóvar (il cui Dolor y Gloria è già uscito in Spagna ma per un film così si possono ben fare eccezioni), l’«invisibile» Terrence Malick che detesta gli sguardi altrui, quattro francesi (uno meno dell’anno scorso), un italiano (ma di peso: Bellocchio su Buscetta)... Aggirato l’ostacolo Netflix con gli auguri del presidente del Festival Pierre Lescure che prevede «sostanziali cambiamenti» nei prossimi anni, va sottolineata l’enfasi con cui si è ribadito il successo in sala di alcuni titoli della scorsa edizione (a cominciare dalla Palma d’oro Kore-eda, che ha raddoppiato i suoi abituali spettatori) e l’annuncio che la cerimonia e il film di apertura verranno trasmessi in diretta in «almeno quattrocento sale» francesi. Come a ribadire un ruolo di promozione cinematografica che Cannes aveva un po’ tralasciato nelle ultime edizioni e che gli aveva alienato certe «simpatie» hollywoodiane a favore di Venezia. Segnali che la Mostra non dovrebbe sottovalutare.