LA SFIDA AI MILITARI
Proiezione esterna Mentre la politica estera dell’italia già zoppicava, sono state le missioni militari all’estero a tenere alta la nostra credibilità e solide le nostre alleanze
Le acque sembrano essersi calmate tra Matteo Salvini e gli alti gradi militari, indignati dopo aver ricevuto «ordini» dal ministro dell’interno. Anche perché il Viminale ha avuto buon gioco nel rispolverare quel testo unico sull’immigrazione che prevede la legittima competenza del ministro in tema di frontiere marittime. Ma voltare pagina senza riflettere su un episodio che ha preoccupato anche il Quirinale, sarebbe far finta di non capire quel che accade nel nostro Paese.
Esarebbe anche mostrarsi insensibili o per lo meno disattenti nei confronti dei malumori che periodicamente attraversano il mondo militare italiano, per definizione e per mestiere poco abituato alla confusione e agli strappi continui di chi decide di ergersi a comandante per pura convenienza elettorale.
Matteo Salvini non è soltanto bravo, è un campione della propaganda scientifica. Prendiamo pure il caso di questi giorni, e accettiamo che tutto sia stato fatto secondo legge. Ma il modo? Il linguaggio? Non sono, l’uno e l’altro, strumenti di pressione e persino di intimidazione nei confronti di chi avesse idee diverse? Procedere con criteri esclusivamente autoritari è cosa molto diversa dall’usanza democratica dell’informare, dell’avvertire, dello spiegare all’interno di un governo che dovrebbe trattare collegialmente la nostra sicurezza e il blocco ai nostri confini marittimi di una nave (la «Mare Ionio» della Ong Mediterranea) che batte bandiera italiana e che sarà verosimilmente carica di migranti salvati in mare.
Ma Salvini, dicevo, è bravo. E perciò nel suo agire c’è del metodo. Decisione collegiale in base alla legge, può essere forse questo l’annuncio per la platea degli elettori? Per carità, serve l’esatto contrario: decisione di un unico ministro
che ha scontentato tutti e che per fermare i migranti non esita a far arrabbiare anche le Forze Armate. Ecco, questa è l’etichetta che serve per farsi apprezzare dagli elettori. E Salvini la ostenta come tutte le altre che ha accumulato, come i cartelli che mostra in Tv perché nella memoria dei teleutenti restano più a lungo delle parole, con una spregiudicatezza che il Comandante non intende abbandonare e vorrebbe anzi estendere a tutte le forze sovraniste dopo le elezioni europee.
Se questa è la partita che
Attenzione Bisogna voltare pagina dopo le polemiche dei giorni scorsi tra il ministro dell’interno e gli alti gradi della Difesa
Salvini sta giocando, restano da affrontare due questioni sulle quali è obbligatorio aprire gli occhi se possibile prima di andare a votare.
La prima riguarda il rapido peggioramento dell’efficacia governativa. Sapevamo già che tra Salvini e di Maio lo scontro era prima o poi inevitabile (anche se consente di «occupare» i media giorno dopo giorno), ma in Italia siamo ormai alla guerriglia politica. Sapevamo che Giuseppe Conte non poteva fare miracoli, e infatti, dietro il suo proclamato decisionismo, non li sta facendo. Sapevamo, ma non in tali proporzioni, che vittima sacrificale di tutto ciò sarebbe stata una politica estera italiana che oggi vive di improvvisazioni contraddittorie, che ha ridotto a poca cosa il ruolo della Farnesina a beneficio di altri palazzi occupati da chi comanda, che prima firma ad occhi chiusi un ambiguo accordo strategico con la Cina e poi chiede aiuto a Trump sulla Libia, che si fa dire dall’amico Fayez al-sarraj che 800.000 migranti potrebbero dirigersi verso le nostre coste e dal vice-amico Maitig che tra loro potrebbero esserci 500 tagliagole dell’isis (due provocazioni minacciose che hanno fatto molto gioco al ministro dell’interno), in definitiva che pare priva di bussola in una Europa alla vigilia di una prova decisiva e in un mondo che muta velocemente. Per fortuna ci sono i paletti di Mattarella, altrimenti il nostro isolamento internazionale diventerebbe ancor più autolesionistico. Ma anche quelli sono a rischio di non bastare.
E ci sono, seconda questione, le Forze Armate. Va detto subito che i nostri militari, o chi per loro, non sono del tutto alieni dal velleitarismo. Ricordate quando non si riusciva a capire se in Libia avremmo mandato cinquemila oppure diecimila soldati, ma si trattava soltanto di elucubrazioni o al massimo di piani teorici? Peccati veniali, se si pensa ai meriti che vanno riconosciuti ai nostri uomini e donne in divisa. Mentre la politica estera dell’italia già zoppicava, sono state le missioni militari all’estero a tenere alta la nostra credibilità e solide le nostre alleanze. In Afghanistan abbiamo avuto 54 morti, e oggi dobbiamo trovare il modo di disimpegnarci con onore (se e quando lo farà anche l’america che tratta con i Talebani). Siamo ancora in Libano per conto dell’onu, nei Balcani, in Niger (presenza questa cruciale ma troppo debole per contribuire davvero alla sorveglianza del Sahel attraversato dalle colonne di migranti dirette in Libia) e in altri luoghi ancora, ovunque rispettati se non benvoluti. Ma nel circo della politica romana è rimbalzata persino l’idea di utilizzare i soldati per tappare le buche di Roma. E il decreto per il rifinanziamento delle missioni tarda a concretizzarsi. Non basta. Davvero le spese per la difesa dell’italia raggiungeranno il due per cento del Pil entro il 2024, come esige l’america e come promette la ministra Trenta peraltro chiedendo una modifica dei criteri di conteggio? E alla richiesta sempre Usa di partecipare a una forza di interposizione in Siria, cosa risponderemo alla luce delle priorità mediterranee che la Libia continua a sottolineare?
Matteo Salvini, senza far nulla di illegittimo, ha sottovalutato per sua personale convenienza elettorale il ruolo che le Forze Armate svolgono e i problemi irrisolti che hanno. Questo è stato il suo errore: un errore politico, che a molti italiani potrebbe non piacere.
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