Corriere della Sera

Plichi bomba e disordini «È colpa della Brexit che ha riaperto le ferite»

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Luigi Ippolito

L’irlanda del Nord danza sull’orlo del vulcano. Le violenze di (London)derry sono soltanto l’ultima eruzione di uno smottament­o iniziato l’anno scorso, con i primi disordini notturni proseguiti poi con un’autobomba qualche mese fa e infine con i plichi esplosivi inviati di recente ad aeroporti e stazioni londinesi.

«Non c’è nessun appetito per un ritorno al conflitto armato — dice Mary Lou Mcdonald, l’erede di Gerry Adams alla testa del Sinn Féin, il partito politico nazionalis­ta cattolico che era il braccio armato dell’ira —. E noi non prenderemo rischi in tal senso». Ma il pericolo esiste: perché è adesso la Brexit che mette a repentagli­o gli accordi di pace, faticosame­nte negoziati ventuno anni fa, che avevano messo fine a una guerra civile che aveva provocato tremila morti.

Le intese del Venerdì Santo, come sono conosciute, hanno garantito finora la pace grazie a una ambiguità di fondo: l’irlanda del Nord è una provincia «ibrida» della Gran Bretagna, tanto che i suoi abitanti possono ottenere la cittadinan­za britannica, quella irlandese, o tutte e due. Di fatto, è un condominio fra Londra e Dublino: e il confine fra l’ulster a Nord e la Repubblica d’irlanda a Sud è in pratica inesistent­e.

Ma tutto ciò era possibile finché si era tutti assieme parte dell’unione Europea: ora la Brexit impone una scelta, o di qua o di là. Ed è per questo che la status dell’irlanda del Nord è diventato la pietra d’inciampo che ha fatto deragliare l’accordo tra Londra e Bruxelles. Ed è la miccia che sta riaccenden­do le tensioni fra cattolici e protestant­i.

«La Brexit è un terremoto che riporta in primo piano la questione della divisione dell’irlanda», sottolinea Mary Lou Mcdonald. Anche perché, al referendum del 2016, la maggioranz­a degli elettori dell’ulster, a differenza degli inglesi, si era espressa per rimanere in Europa. Ed è anche un risultato, sottolinea la leader del Sinn Féin, dei cambiament­i demografic­i che stanno conducendo i cattolici a diventare maggioranz­a in Irlanda del Nord: «La gente non vuole essere trascinata fuori dalla Ue contro la sua volontà», sostiene la Mcdonald.

È per questo, argomenta la leader nazionalis­ta, che «la divisione dell’irlanda non è più sostenibil­e: non si possono avere due sistemi politici e legali su un’isola così piccola». Lei rammenta l’assurdità di case che hanno «l’ingresso a Sud, nella Repubblica d’irlanda, e il giardino a Nord, nell’ulster», e che ora sarebbero tagliate in due dalla Brexit: «Ormai il genio è uscito dalla bottiglia e non si può ricacciarl­o indietro».

I leader del Sinn Féin lamentano che «gli interessi irlandesi non sono stati presi in consideraz­ione dai politici di Londra»: e dunque «la Brexit è una catastrofe al rallentato­re, sarà in ogni modo un danno per l’irlanda». Il messaggio di Mcdonald è chiaro: «Insistiamo perché siano protetti la pace e i diritti dei cittadini: non è possibile il ritorno al confine rigido fra Nord e Sud, sarebbe come ricostruir­e il Muro di Berlino. Noi non torneremo indietro».

Ma se non si vuole tornare indietro, qual è la strada per andare avanti? Michelle O’neill, che del Sinn Féin è la leader nell’ulster e che ieri è andata subito a far visita a Derry, non ha dubbi: «Se non ci sarà un accordo soddisface­nte fra Londra e Bruxelles, occorre un referendum per la riunificaz­ione dell’irlanda, entro il 2019. La Brexit ha cambiato tutto e si tratta dell’unico passo logico: rimettere la questione irlandese nelle mani del popolo».

E il rischio che si riaprano le vecchie ferite non la scoraggia: «La pace l’abbiamo conquistat­a con fatica e siamo contro ogni ritorno alla violenza. In questi vent’anni abbiamo fatto funzionare la pace, non ci rinunciamo: ma andare al referendum per la riunificaz­ione non è una scelta drammatica, è uno strumento logico. La Brexit ha fatto da catalizzat­ore».

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Leader Mary Lou Mcdonald guida il Sinn Féin, a destra Michelle O’neill che guida il partito in Ulster

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