E se bruciassimo i nostri ricordi?
Non ne scrivo, ma mi piacciono i romanzi. Ne leggo spesso, uno dopo l’altro (mai contemporaneamente: sono microscopiche storie d’amore, pericoloso sovrapporle). In Italia la chiamiamo narrativa, inglesi e americani la definiscono fiction: finzione. Ma so quant’è difficile restar fuori dalle proprie parole. Ogni volta penso: quanto c’è dell’autore, in ciò che ho letto?
Martedì ho presentato Claudia Durastanti, in Sala Buzzati al Corriere (è stato l’esordio della collaborazione tra Salone del Libro Torino e Bookcity Milano, cosa buona e giusta). Claudia, classe 1984, è autrice di La straniera (La nave di Teseo), un libro soave e spietato, in corsa per il premio Strega. La protagonista racconta i genitori non-udenti, l’infanzia a Brooklyn, il ritorno in Basilicata, la vita agra a Londra ai tempi di Brexit. Ebbene: i genitori di Claudia non ci sentono, lei è nata a Brooklyn, è tornata in Basilicata, ora vive a Londra, e non le piace: l’autobiografia è dichiarata. Al punto che l’autrice si preoccupava della presenza in sala di un certo giornalista sessantenne, di cui scrive (non c’era, oppure è stato zitto). Ho ceduto alla stessa tentazione — rintracciare elementi autobiografici — leggendo Le cose che bruciano di Michele Serra (editore Feltrinelli). Ho dovuto far da solo, perché ci vediamo raramente: l’ultima volta in un corridoio dell’ariston di Sanremo. Di cosa parla il romanzo? Di un uomo schifato dalla politica e dalla sinistra — la sua proposta per «l’uniforme obbligatoria nelle scuole di ogni ordine e grado» è miseramente fallita — che decide di ritirarsi in montagna, tra capre e trattori, a lavorare la terra. La sua ossessione sono i ricordi: seggiole, il canapé della zia Vanda, fotografie di parenti sconosciuti, il carteggio della madre. La tentazione costante è il falò: ma una volta piove, una volta ci si mette il rimorso. Finché, un giorno...
Ebbene: io so che l’autore si è trasferito in campagna; va per i 65 anni e i ricordi non gli mancano; e conosce il senso di soffocamento professionale (ne ha scritto in Il ragazzo mucca). Quanto somiglia Michele Serra ad Attilio Campi, protagonista di Le cose che bruciano? Quanto gli pesano i ricordi? Ha acceso il suo fuoco purificatore? Possiamo contribuire (con seggiole, fotografie, conoscenze inutili di colleghi ipocriti)? Appena lo rivedo, glielo chiedo. Spero di non dover aspettare il prossimo Festival di Sanremo. Perché sono discorsi scabrosi, da quelle parti.
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