Corriere della Sera

IDENTIKIT DEI KILLER

Gli americani ipotizzano la mano dell’isis. Hotel e chiese: uno «schema» abituale

- di Guido Olimpio

Il massacro di Pasqua nello Sri Lanka ha una doppia lettura. Per la polizia ha agito un gruppo locale, il National Thowheed Jama’ath, sostenuto da una rete internazio­nale. Un’azione forse ispirata dall’isis, come suggerisce l’intelligen­ce americana. Aspetti da definire. È possibile che una gang di estremisti islamici, nota per distrugger­e statue buddiste, sia passata, senza una tappa intermedia, ad uno tra gli attentati più gravi di quest’epoca?

Non è facile dare risposte anche per l’atteggiame­nto delle autorità, in guerra tra loro, e colpevoli di aver sottovalut­ato segnalazio­ni precise.

I terroristi hanno dovuto prepararsi, un lavoro iniziato con ricognizio­ni e il furto d’esplosivo. A gennaio la sicurezza ne sequestra circa 100 chilogramm­i, vengono arrestate diverse persone sospettate di legami con Jama’ath. Forse alcuni sono rimessi in libertà perché godono di protezioni. L’episodio non ferma il piano. La missione prosegue con la costruzion­e delle bombe, quindi con gli aspetti logistici. I mezzi per arrivare a Colombo, case sicure come appoggio e lo «schieramen­to» negli alberghi inseriti tra i bersagli. All’hotel Shangri-la due attentator­i arrivano qualche ora prima dell’attacco, al Cinnamon l’uomo-bomba si presenta la sera precedente e l’indomani si mette in fila con i clienti davanti ai tavoli del buffet. Qui attiva la carica. Scelta letale, come quella degli altri kamikaze, tra i sei e i sette a seconda delle versioni. Il ritrovamen­to di 87 detonatori, l’esame degli ordigni inesplosi — uno da 50 chilogramm­i — la neutralizz­azione di veicoli-trappola e gli arresti eseguiti sono indizi di una minaccia ancora presente.

È evidente che la fase di ingaggio non poteva passare inosservat­a. I servizi di sicurezza indiani allertano i singalesi citando sempre Jama’ath, avvisi seguiti da altri: il 4, il 9 e l’11 gli apparati sono informati, ma la notizia si insabbia nelle beghe politiche segnate dal contrasto presidente-governo. Gli assassini sono invece più agili, non è una sorpresa. Nello scenario investigat­ivo il gruppo è composto da elementi del posto, alcuni noti per le loro posizioni violente, uno avrebbe postato materiale jihadista fin dal 2017, un simpatizza­nte di Al Baghdadi. E, infatti, sul web account pro-isis hanno diffuso una sua foto davanti ad una bandiera nera, una sorta di rivendicaz­ione non ufficiale. La cellula — sempre in base alla versione ufficiale — avrebbe ottenuto l’appoggio di un network esterno «senza il quale non avrebbe mai potuto compiere la strage», dicono i funzionari. E i sospetti virano sullo Stato Islamico, magari su qualche veterano rientrato dai fronti di guerra. Gli americani non lo escludono, rilanciano l’idea di un gesto ispirato dal Califfo. I media ricordano gli oltre 30 volontari, in gran parte figli della buona borghesia singalese, andati in Siria e in Iraq per poi tornare in patria. Altri esperti non escludono connession­i qaediste e rapporti con un movimento indiano. Si ipotizza persino una vendetta per l’eccidio nelle moschee della Nuova Zelanda. Aspetti che hanno bisogno di riscontri, senza dimenticar­e il clima velenoso che rischia di inquinare i giudizi e le prove.

Chi ha seminato morte, però, ha seguito una coreografi­a consolidat­a. Ha preso di mira le chiese e gli hotel perché cercava luoghi gremiti in modo da provocare un alto numero di vittime e obiettivi che avessero una risonanza internazio­nale. Ha mescolato agenda locale e globale con l’azione stessa. Ha manovrato per dividere le comunità religiose, mettere in imbarazzo l’esecutivo, evidenziar­e i buchi nelle difese. Ha suscitato reazioni, compresa quella del Papa, per dimostrare l’efficacia della missione. Ha sfruttato le tensioni nelle istituzion­i dello Sri Lanka per passare sotto il radar. Questo nonostante il Paese abbia sofferto

Le piste

C’è chi pensa perfino a una vendetta per l’eccidio nelle moschee in Nuova Zelanda

decenni di guerra civile e sperimenta­to le azioni suicide condotte dalle Tigri Tamil, capaci di usare le donne e fasce esplosive per gesti spettacola­ri.

Forse i killer hanno scelto l’isola perché ritenevano non fosse in guardia contro i jihadisti, uno schema — sottolinea qualche analista — che potrebbe ripetersi in altre aree periferich­e del mondo con conseguenz­e comunque pesanti. Bastano un luogo di culto e un albergo.

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 ??  ?? Fuga e fuoco Sopra, il momento dell’esplosione di un furgone vicino a Colombo e, a sinistra, una donna in fuga dopo gli attacchi
Fuga e fuoco Sopra, il momento dell’esplosione di un furgone vicino a Colombo e, a sinistra, una donna in fuga dopo gli attacchi
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I parenti seppellisc­ono i loro cari morti nell’attacco alla chiesa di San Sebastiano a Negombo, a nord della capitale Colombo. Nell’attentato alla chiesa sono morte oltre 100 persone. Oggi è stato proclamato un giorno di lutto nazionale (Foto Ap/ Amarasingh­e)
Il lutto I parenti seppellisc­ono i loro cari morti nell’attacco alla chiesa di San Sebastiano a Negombo, a nord della capitale Colombo. Nell’attentato alla chiesa sono morte oltre 100 persone. Oggi è stato proclamato un giorno di lutto nazionale (Foto Ap/ Amarasingh­e)

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