Stop al petrolio dall’iran
Stop alle esenzioni per otto Paesi, Italia compresa. Trump: al telefono con Conte
Stop alle esenzioni per chi acquista petrolio dall’iran: gli Stati Uniti annunciano la fine della deroga per l’importazione di petrolio da Teheran, di cui godevano dal novembre scorso otto Paesi tra cui l’italia. L’eni: non siamo presenti in Iran. Quotazioni del greggio in forte rialzo.
MILANO Gli Stati Uniti annunciano la fine della deroga per l’importazione di petrolio iraniano, di cui otto Paesi tra cui l’italia godevano dal novembre scorso. Lo stop sarà effettivo dal 2 maggio. Trump ieri sera si è sentito al telefono con il premier Giuseppe Conte: «Abbiamo parlato di immigrazione, tasse e commercio. Una telefonata positiva».
L’eni non è presente in Iran — spiega il gruppo petrolifero — e non ha effettuato importazioni di greggio durante il periodo oggetto dell’esenzione. Degli otto Paesi, l’italia così come la Grecia e Taiwan ha già bloccato le proprie importazioni di petrolio da Teheran, mentre hanno continuato a rifornirsi Cina, India, Turchia, Giappone e Sud Corea. Ora i Paesi che continueranno a importare greggio andranno incontro a sanzioni economiche.
La decisione della Casa Bianca ha spinto ieri le quotazioni del petrolio ai massimi da sei mesi. Il Brent (il petrolio del mare del Nord) ha superato i 74 dollari al barile mentre il Wti (il greggio americano) ha quasi toccato i 66 dollari. L’iran esporta circa un milione di barili al giorno, contro i 2,7 milioni di un anno fa, prima delle sanzioni Usa. Per tranquillizzare i mercati la Casa Bianca ha annunciato un coordinamento con Arabia Saudita, Emirati Arabi e altri Paesi dell’opec «per garantire che la domanda globale sia soddisfatta, mentre tutto il petrolio iraniano è rimosso dal mercato».
L’8 maggio 2018 il governo Usa è uscito dall’accordo sul nucleare del 2015 firmato con l’iran e i Paesi del Consiglio di sicurezza Onu, più la Germania. Nell’intesa Teheran garantiva, in cambio di aiuti, l’impegno a produrre nucleare solo per scopi civili. Nel novembre scorso sono entrate in vigore le ultime sanzioni con cui l’amministrazione Trump ha posto fine alla partecipazione all’accordo sul nucleare. In quella occasione il governo Usa aveva autorizzato otto Paesi a importare petrolio dall’iran, ma in misura decrescente, fino ad arrivare a quota zero entro il 2 maggio 2019. Fin dall’inizio la scelta degli Stati Uniti non è stata accolta con favore dagli alleati europei, che hanno sempre considerato fondamentale l’accordo sul nucleare.
La Casa Bianca ha spiegato che la decisione di non rinnovare le deroghe, che segue la designazione del corpo dei guardiani della rivoluzione come organizzazione terroristica straniera, «mira ad azzerare l’export di petrolio iraniano, negando al regime la sua principale fonte di entrate». «L’amministrazione Trump e i suoi alleati — continua il comunicato — sono determinati a sostenere ed espandere la campagna di massima pressione economica contro l’iran per mettere fine all’attività destabilizzante del regime che minaccia gli Stati Uniti, i nostri partner ed alleati, e la sicurezza in Medio Oriente». Su twitter il premier israeliano incaricato Benyamin Netanyahu si è schierato con la Casa Bianca.
Teheran ha replicato con fermezza: «Dato che le sanzioni di cui si parla sono illegali, la Repubblica islamica dell’iran non ha mai dato, né dà adesso alcun valore o credibilità alle sue esenzioni». E la Cina ha fatto sapere che si opporrà «alle sanzioni unilaterali e alla giurisdizione ad ampio raggio» perché gli accordi siglati da Pechino con Teheran sono «ragionevoli e legittimi». Anche la Turchia ha contestato la decisione unilaterale di Washington. Intanto le sanzioni sono in vigore. Unicredit a metà aprile si è vista infliggere 1,2 miliardi di multa dalle Autorità statunitensi per aver effettuato transazioni con l’iran.
Ai massimi Quotazioni del greggio in forte rialzo: hanno raggiunto i massimi da sei mesi