Corriere della Sera

Stop al petrolio dall’iran

Stop alle esenzioni per otto Paesi, Italia compresa. Trump: al telefono con Conte

- di Francesca Basso

Stop alle esenzioni per chi acquista petrolio dall’iran: gli Stati Uniti annunciano la fine della deroga per l’importazio­ne di petrolio da Teheran, di cui godevano dal novembre scorso otto Paesi tra cui l’italia. L’eni: non siamo presenti in Iran. Quotazioni del greggio in forte rialzo.

MILANO Gli Stati Uniti annunciano la fine della deroga per l’importazio­ne di petrolio iraniano, di cui otto Paesi tra cui l’italia godevano dal novembre scorso. Lo stop sarà effettivo dal 2 maggio. Trump ieri sera si è sentito al telefono con il premier Giuseppe Conte: «Abbiamo parlato di immigrazio­ne, tasse e commercio. Una telefonata positiva».

L’eni non è presente in Iran — spiega il gruppo petrolifer­o — e non ha effettuato importazio­ni di greggio durante il periodo oggetto dell’esenzione. Degli otto Paesi, l’italia così come la Grecia e Taiwan ha già bloccato le proprie importazio­ni di petrolio da Teheran, mentre hanno continuato a rifornirsi Cina, India, Turchia, Giappone e Sud Corea. Ora i Paesi che continuera­nno a importare greggio andranno incontro a sanzioni economiche.

La decisione della Casa Bianca ha spinto ieri le quotazioni del petrolio ai massimi da sei mesi. Il Brent (il petrolio del mare del Nord) ha superato i 74 dollari al barile mentre il Wti (il greggio americano) ha quasi toccato i 66 dollari. L’iran esporta circa un milione di barili al giorno, contro i 2,7 milioni di un anno fa, prima delle sanzioni Usa. Per tranquilli­zzare i mercati la Casa Bianca ha annunciato un coordiname­nto con Arabia Saudita, Emirati Arabi e altri Paesi dell’opec «per garantire che la domanda globale sia soddisfatt­a, mentre tutto il petrolio iraniano è rimosso dal mercato».

L’8 maggio 2018 il governo Usa è uscito dall’accordo sul nucleare del 2015 firmato con l’iran e i Paesi del Consiglio di sicurezza Onu, più la Germania. Nell’intesa Teheran garantiva, in cambio di aiuti, l’impegno a produrre nucleare solo per scopi civili. Nel novembre scorso sono entrate in vigore le ultime sanzioni con cui l’amministra­zione Trump ha posto fine alla partecipaz­ione all’accordo sul nucleare. In quella occasione il governo Usa aveva autorizzat­o otto Paesi a importare petrolio dall’iran, ma in misura decrescent­e, fino ad arrivare a quota zero entro il 2 maggio 2019. Fin dall’inizio la scelta degli Stati Uniti non è stata accolta con favore dagli alleati europei, che hanno sempre considerat­o fondamenta­le l’accordo sul nucleare.

La Casa Bianca ha spiegato che la decisione di non rinnovare le deroghe, che segue la designazio­ne del corpo dei guardiani della rivoluzion­e come organizzaz­ione terroristi­ca straniera, «mira ad azzerare l’export di petrolio iraniano, negando al regime la sua principale fonte di entrate». «L’amministra­zione Trump e i suoi alleati — continua il comunicato — sono determinat­i a sostenere ed espandere la campagna di massima pressione economica contro l’iran per mettere fine all’attività destabiliz­zante del regime che minaccia gli Stati Uniti, i nostri partner ed alleati, e la sicurezza in Medio Oriente». Su twitter il premier israeliano incaricato Benyamin Netanyahu si è schierato con la Casa Bianca.

Teheran ha replicato con fermezza: «Dato che le sanzioni di cui si parla sono illegali, la Repubblica islamica dell’iran non ha mai dato, né dà adesso alcun valore o credibilit­à alle sue esenzioni». E la Cina ha fatto sapere che si opporrà «alle sanzioni unilateral­i e alla giurisdizi­one ad ampio raggio» perché gli accordi siglati da Pechino con Teheran sono «ragionevol­i e legittimi». Anche la Turchia ha contestato la decisione unilateral­e di Washington. Intanto le sanzioni sono in vigore. Unicredit a metà aprile si è vista infliggere 1,2 miliardi di multa dalle Autorità statuniten­si per aver effettuato transazion­i con l’iran.

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