Di Maio pressa Conte contro l’alleato Via Siri e un vertice sui rimpatri
Il premier intende chiedere le dimissioni. Il capo M5S: Salvini non fa le espulsioni
ROMA La tregua pasquale vacilla già a Pasquetta. Troppi i fronti aperti e ancora non chiariti, con il Consiglio dei ministri che incombe (si tiene oggi). La questione clandestini, i fondi a Roma capitale, il caso Raggi, ma anche la questione giudiziaria che ha investito il sottosegretario Armando Siri. E se il Movimento ha chiesto un passo indietro, anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che lo incontrerà in settimana, è intenzionato a chiederne le dimissioni dal governo, in attesa di chiarimenti.
Luigi Di Maio viene descritto dai suoi come molto irritato sulla questione migranti, a partire dall’episodio di cronaca di Torino: «Ma come si fa a dire tolleranza zero verso il senegalese che ha aggredito i poliziotti, se aveva due avvisi di espulsione mai attuati e stava ancora in Italia? Chi avrebbe dovuto espellerlo quest’anno? Non certo io». L’allusione naturalmente è al ministro dell’interno, Matteo Salvini. Il problema reale, per il vicepremier dei 5 Stelle, sono i quasi 600 mila migranti irregolari che ci sono in Italia: «È giusto chiudere i porti — dice ai suoi — ed essere rigidi sugli arrivi, ma non bisogna prendere in giro gli italiani. Fanno solo propaganda: lo hanno fatto sulla via della Seta, parlando di cinesi colonizzatori, lo hanno fatto con i campi rom, aperti a Roma proprio dalla Lega, e ora lo fanno sugli immigrati». Per questo Di Maio è intenzionato a chiedere un vertice sui rimpatri al premier Conte.
Ma Di Maio è pronto all’affondo anche su Siri e sui fondi alla Lega. Si ipotizza persino un post sui social con «cinque domande a Salvini». Sull’inchiesta che ha coinvolto il sottosegretario della Lega non è disposto a minimizzare: «C’è di mezzo la mafia, su questo bisogna chiarire. E bisogna dare un segnale al Paese. E comunque sulla giustizia non è accettabile che Salvini se la svigni come Berlusconi e dica che i giudici ce l’hanno con lui». I 5 Stelle chiedono che Siri spieghi, come previsto dal contratto, e invece, fanno notare, si sono trovati di fronte a mille versioni diverse del sottosegretario. Non chiariti risultano anche i rapporti con l’imprenditore dell’eolico Paolo Arata e con il socio occulto mafioso Vito Nicastri. A questo si aggiunge la vicenda per la quale rischia il rinvio a giudizio il tesoriere della Lega Giulio Centemero: Luca Parnasi ha ammesso di aver versato 250mila euro nel 2015 alla fondazione gestita da Centemero che «servivano a finanziare la Lega». E che sarebbero finiti al quotidiano La Padania. Altra questione sulla quale il Movimento vuole chiedere chiarezza. Assicurando che, nel caso arrivassero richieste di intercettazioni di parlamentari o esponenti del governo alle Camere, i 5 Stelle non si opporrebbero.
Quanto ai fondi per Roma Capitale, l’accordo sembrava trovato, ma è ripartita una guerriglia, che sembra più di comunicazione e di bandiera che altro, ma che potrebbe degenerare. Tanto che i 5 Stelle mettono le mani avanti: «Quello di Salvini è un ricatto, ma se dovessero votare contro, al consiglio dei ministri di oggi, sarebbe sicuramente crisi di governo. E Salvini non se lo può permettere. Anche perché tornerebbe a essere un partito padano e non più nazionale e si prenderebbe la responsabilità del crollo». E anche perché, nel frattempo, si fa sempre più forte la voce di Giorgia Meloni, favorevole ai fondi e ai superpoteri per la Capitale. Considerando che potrebbe essere lei una candidata al Campidoglio, d’intesa con la Lega, in un prossimo futuro Salvini difficilmente porterebbe fino in fondo una battaglia divisiva su questo.
Lo scenario
I 5 Stelle: su Roma non può permettersi la crisi La Lega tornerebbe un partito padano
L’attacco sul web
Per le inchieste l’ipotesi di un post sui social con le «5 domande» al vicepremier leghista
In sostanza, i 5 Stelle restano vigili sui dossier che interessano la loro azione di governo e non intendono concedere troppo all’alleato. Anche in questa logica si spiega la mancata reazione all’annuncio di Luca Morisi che, postando una foto di Salvini con mitra, spiegava: «Siamo armati». «Non siamo intervenuti — spiegano dai piani alti del Movimento — perché è una chiara arma di distrazione di massa. Si vuole solo cambiare argomento. Escludendo la stupidità, postare una foto con le armi proprio durante la Pasqua e durante le stragi in Sri Lanka, è solo un tentativo in malafede di spostare l’attenzione su altro».