L’«EUROPA DELLE PATRIE» E I SUOI PARADOSSI STORICI
C on l’avvicinarsi delle elezioni lo stato di salute delle istituzioni europee appare a molti precario. Nulla di nuovo sotto il sole: il percorso del processo di unificazione europea è stato infatti sin dall’inizio altalenante, con avanzamenti e improvvisi arresti. Al manifesto di Ventotene, stilato da Spinelli e Rossi al confino e in piena guerra (1941), con il suo visionario obiettivo di un superamento degli Stati nazionali e di uno stato federale europeo, e alla creazione nel 1951 della Comunità del Carbone e dell’acciaio (Ceca), con la quale i sei Paesi fondatori mettevano in comune quelle fonti di energia che erano state causa non ultima delle guerre che avevano insanguinato l’europa, fece seguito nel 1952 il tentativo di dar vita ad una Comunità Europea di Difesa (Ced) voluta da grandi statisti quali Monnet, Schuman, De Gasperi, e Adenauer, ma mai entrata in vigore a causa della mancata ratifica nel 1954 da parte della Francia.
Sin dall’inizio, dunque, ad un disegno mirante ad un vero e proprio stato federale, si contrappose una visione dell’integrazione europea secondo un modello intergovernativo di cooperazione tra Stati nazionali. È questa visione che dette vita nel 1957 alla creazione con il trattato di Roma della Comunità Economica Europea con il suo mercato comune che liberalizzando i movimenti di uomini, merci e capitali portò un importante contributo al processo di integrazione europea. Negli stessi anni, tuttavia, a questa visione funzionale del processo di unificazione che permise il progressivo allargamento della Comunità Europea, si contrappose da parte della Francia di de Gaulle la riproposizione di una «Europa delle Patrie», la visione cioè di una comunità di Stati, uniti da molti obiettivi comuni, ma separati da differenti tradizioni nazionali.
dIntergovernativo L’UE è ancora retta dal metodo che trova la sua massima espressione nel Consiglio dei Capi di Stato e di Governo
La storia più recente non ha fatto eccezioni. Dopo il progressivo allargamento della Comunità Europea da 6 a 12 a 15 Stati senza significative modifiche dell’impianto istituzionale, l’europa ha tentato, con il trattato di Nizza (2001) e con la Convenzione Europea successiva alla dichiarazione di Laeken, di pervenire ad un vero e proprio Trattato Costituzionale Europeo che superasse il carattere intergovernativo sino ad allora predominante. La mancata ratifica determinata dalla vittoria dei «no» nei referendum di Francia e Paesi Bassi nel 2005 ha rappresentato una ulteriore sconfitta del disegno federale. Il successivo trattato di Lisbona (2007), pur modificando il termine «Comunità Europea» con quello di «Unione Europea», e pur conservando alcuni degli obiettivi sostanziali previsti dal Trattato Costituzionale Europeo, non conferisce competenze esclusive e sovranazionali all’unione, nel frattempo allargata a 28 Stati. In altre parole, e malgrado il maggior
dDecisioni
Viene lasciato tuttora largo spazio al principio dell’unanimità e al conseguente potere di veto dei singoli
ruolo progressivamente riconosciuto al Parlamento Europeo, l’europa è ancora sostanzialmente retta dal metodo inter-governativo, che trova la sua massima espressione nel Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, vero dominus dell’assetto istituzionale europeo.
I difetti che gli attuali «sovranisti» imputano all’unione Europea, e in particolare alla sua Commissione, sono in realtà da attribuire al permanere del metodo intergovernativo, al largo spazio tuttora lasciato al principio dell’unanimità nelle decisioni e al conseguente potere di veto di cui godono in maniera paritaria i singoli Stati, indipendentemente dalla loro popolazione e dal loro potere economico. Il principio della «Europa delle Patrie», che tuttora ispira il nazionalismo dei sovranisti, lungi dal costituire una base per rivendicare una correzione ai processi decisionali dell’unione ne costituisce l’effettiva modalità di decision making.
L’unione Europea è l’unione degli Stati membri, non lo stato federale sognato da Spinelli e Rossi a Ventotene, non l’europa auspicata da De Gasperi o Adenauer. La sua Commissione è la Commissione in cui sono rappresentati tutti gli Stati membri. I suoi difetti sono i difetti dell’europa degli Stati. Forse tali difetti potranno essere superati se in futuro la Commissione sarà eletta dal Parlamento e non nominata dagli Stati nazionali, e se andranno a compimento progetti come quello di Macron e Merkel di dar vita ad un primo nucleo di esercito comune europeo.
In conclusione, assistiamo ogni giorno ad un paradosso; l’europa di cui i «sovranisti» criticano i difetti è la loro Europa, l’europa degli Stati. Alla vigilia delle elezioni, l’importante è comprendere che per superare tali difetti occorre non meno Europa e più sovranità degli Stati nazionali, ma più Europa.
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