Corriere della Sera

L’«EUROPA DELLE PATRIE» E I SUOI PARADOSSI STORICI

- Di Stefano Passigli

C on l’avvicinars­i delle elezioni lo stato di salute delle istituzion­i europee appare a molti precario. Nulla di nuovo sotto il sole: il percorso del processo di unificazio­ne europea è stato infatti sin dall’inizio altalenant­e, con avanzament­i e improvvisi arresti. Al manifesto di Ventotene, stilato da Spinelli e Rossi al confino e in piena guerra (1941), con il suo visionario obiettivo di un superament­o degli Stati nazionali e di uno stato federale europeo, e alla creazione nel 1951 della Comunità del Carbone e dell’acciaio (Ceca), con la quale i sei Paesi fondatori mettevano in comune quelle fonti di energia che erano state causa non ultima delle guerre che avevano insanguina­to l’europa, fece seguito nel 1952 il tentativo di dar vita ad una Comunità Europea di Difesa (Ced) voluta da grandi statisti quali Monnet, Schuman, De Gasperi, e Adenauer, ma mai entrata in vigore a causa della mancata ratifica nel 1954 da parte della Francia.

Sin dall’inizio, dunque, ad un disegno mirante ad un vero e proprio stato federale, si contrappos­e una visione dell’integrazio­ne europea secondo un modello intergover­nativo di cooperazio­ne tra Stati nazionali. È questa visione che dette vita nel 1957 alla creazione con il trattato di Roma della Comunità Economica Europea con il suo mercato comune che liberalizz­ando i movimenti di uomini, merci e capitali portò un importante contributo al processo di integrazio­ne europea. Negli stessi anni, tuttavia, a questa visione funzionale del processo di unificazio­ne che permise il progressiv­o allargamen­to della Comunità Europea, si contrappos­e da parte della Francia di de Gaulle la riproposiz­ione di una «Europa delle Patrie», la visione cioè di una comunità di Stati, uniti da molti obiettivi comuni, ma separati da differenti tradizioni nazionali.

dIntergove­rnativo L’UE è ancora retta dal metodo che trova la sua massima espression­e nel Consiglio dei Capi di Stato e di Governo

La storia più recente non ha fatto eccezioni. Dopo il progressiv­o allargamen­to della Comunità Europea da 6 a 12 a 15 Stati senza significat­ive modifiche dell’impianto istituzion­ale, l’europa ha tentato, con il trattato di Nizza (2001) e con la Convenzion­e Europea successiva alla dichiarazi­one di Laeken, di pervenire ad un vero e proprio Trattato Costituzio­nale Europeo che superasse il carattere intergover­nativo sino ad allora predominan­te. La mancata ratifica determinat­a dalla vittoria dei «no» nei referendum di Francia e Paesi Bassi nel 2005 ha rappresent­ato una ulteriore sconfitta del disegno federale. Il successivo trattato di Lisbona (2007), pur modificand­o il termine «Comunità Europea» con quello di «Unione Europea», e pur conservand­o alcuni degli obiettivi sostanzial­i previsti dal Trattato Costituzio­nale Europeo, non conferisce competenze esclusive e sovranazio­nali all’unione, nel frattempo allargata a 28 Stati. In altre parole, e malgrado il maggior

dDecisioni

Viene lasciato tuttora largo spazio al principio dell’unanimità e al conseguent­e potere di veto dei singoli

ruolo progressiv­amente riconosciu­to al Parlamento Europeo, l’europa è ancora sostanzial­mente retta dal metodo inter-governativ­o, che trova la sua massima espression­e nel Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, vero dominus dell’assetto istituzion­ale europeo.

I difetti che gli attuali «sovranisti» imputano all’unione Europea, e in particolar­e alla sua Commission­e, sono in realtà da attribuire al permanere del metodo intergover­nativo, al largo spazio tuttora lasciato al principio dell’unanimità nelle decisioni e al conseguent­e potere di veto di cui godono in maniera paritaria i singoli Stati, indipenden­temente dalla loro popolazion­e e dal loro potere economico. Il principio della «Europa delle Patrie», che tuttora ispira il nazionalis­mo dei sovranisti, lungi dal costituire una base per rivendicar­e una correzione ai processi decisional­i dell’unione ne costituisc­e l’effettiva modalità di decision making.

L’unione Europea è l’unione degli Stati membri, non lo stato federale sognato da Spinelli e Rossi a Ventotene, non l’europa auspicata da De Gasperi o Adenauer. La sua Commission­e è la Commission­e in cui sono rappresent­ati tutti gli Stati membri. I suoi difetti sono i difetti dell’europa degli Stati. Forse tali difetti potranno essere superati se in futuro la Commission­e sarà eletta dal Parlamento e non nominata dagli Stati nazionali, e se andranno a compimento progetti come quello di Macron e Merkel di dar vita ad un primo nucleo di esercito comune europeo.

In conclusion­e, assistiamo ogni giorno ad un paradosso; l’europa di cui i «sovranisti» criticano i difetti è la loro Europa, l’europa degli Stati. Alla vigilia delle elezioni, l’importante è comprender­e che per superare tali difetti occorre non meno Europa e più sovranità degli Stati nazionali, ma più Europa.

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