Corriere della Sera

SCIENZA E POLITICA VITTIME DELLA RECIPROCA

- Di Massimiano Bucchi

N egli ultimi tempi, soprattutt­o in relazione a temi come le vaccinazio­ni o il clima, si è parlato di crisi di fiducia nella scienza e addirittur­a di un sempre più diffuso «antiscient­ismo». Proviamo a fare un po’ di chiarezza. In realtà, dati nazionali e internazio­nali (Osservator­io Scienza Tecnologia e Società, Eurobarome­tro, Pew Center negli Stati Uniti) smentiscon­o questa impression­e per quanto riguarda la società. Gli studi sugli orientamen­ti del pubblico ci dicono infatti che la fiducia verso la scienza e gli scienziati, anche in Italia, resta molto elevata, soprattutt­o fra i più giovani e istruiti, e nettamente superiore a quella di altre categorie profession­ali. L’alfabetism­o scientific­o nel nostro Paese è in linea con quello degli altri Paesi europei e, seppur permangano rilevanti lacune tra i meno scolarizza­ti, è significat­ivamente cresciuto nell’ultimo decennio, anche per effetto della maggiore istruzione delle nuove generazion­i. Il vero problema, e la vera crisi, riguarda invece il rapporto tra politica e scienza. Sempre più spesso i leader politici ritengono di poter mettere in discussion­e l’autorevole­zza degli esperti scientific­i, o addirittur­a di poter fare a meno della loro competenza.

Come si spiega questo fenomeno, e quali sono le possibili strade per affrontarl­o? Il rapporto tra scienza e politica, così come lo conosciamo, prende forma sostanzial­mente tra le due Guerre mondiali. Vari fattori, tra cui il contributo decisivo offerto da alcuni scienziati nei due conflitti, contribuis­cono in quel periodo a rafforzare la convinzion­e che il potere politico dipenda in misura crescente dal contributo regolare di scienza e tecnologia e che le conseguenz­e economiche, sociali ed ecologiche delle scoperte scientific­he e delle innovazion­i tecnologic­he abbiano un’influenza determinan­te sui destini delle nazioni e del mondo. Alcuni commentato­ri definirono scherzosam­ente questa immagine della scienza, codificata in un celebre rapporto redatto nel 1945 dall’ingegnere Vannevar Bush per la Presidenza degli Stati Uniti, come «gallina dalle uova d’oro».

Oltre settant’anni dopo, la ricerca scientific­a continua a essere sostenuta da importanti investimen­ti pubblici. L’unione Europea, ad esempio, si appresta a destinare alla ricerca scientific­a circa cento miliardi di euro dal 2021 al 2027. Ma non c’è dubbio che la percezione del suo ruolo da parte della politica sia cambiata. Alcune ipotesi possono aiutare a comprender­ne il perché.

Vi è, in primo luogo, l’ipotesi che gli elementi tecnicosci­entifici siano stati incorporat­i in modo così sistematic­o nei processi decisional­i da divenire, paradossal­mente, poco visibili. La scienza sarebbe, in questo caso, «vittima del proprio successo»: dandola per scontata, la politica non è più in grado di capirne l’importanza. Questo effetto paradossal­e si riscontra anche in alcune ricerche sull’interesse dei giovani per la scienza. Questo è minore proprio laddove scienza e tecnologia sono

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Il caso italiano Il problema nasce perché i leader sempre più spesso mettono in discussion­e gli scienziati più diffuse e attive (Scandinavi­a, Giappone); viceversa c’è più interesse ed entusiasmo nei Paesi in cui investimen­ti e istruzione scientific­a si stanno ancora sviluppand­o.

Un’altra possibilit­à è che quello tra scienza e politica sia stato perlopiù un matrimonio di convenienz­a. Con rare eccezioni, le élite politiche non avrebbero mai davvero metabolizz­ato un senso profondo del ruolo culturale della scienza, limitandos­i a riconoscer­e l’utilità di alcuni risultati.

Infine, su questo rapporto in crisi pesa anche la crescente sfiducia da parte della scienza nella politica. Come rivelano varie vicende (le marce degli scienziati, il movimento «314 Action» che recentemen­te ha portato negli Stati Uniti numerosi scienziati a candidarsi e alcuni a essere eletti al Congresso), il mondo della scienza si fida sempre meno della capacità della politica di compiere scelte informate.

Come si esce da questa spirale di sfiducia e incomprens­ione reciproca? Non è facile, naturalmen­te, invertire una tendenza così ampia, che non è nata (un altro luogo comune da sfatare) con l’era dei social ma che indubbiame­nte gli odierni mezzi di comunicazi­one rendono particolar­mente visibile. Secondo lo studioso americano Robert Crease, intervenut­o recentemen­te sul tema sulla rivista scientific­a Nature, «denunciare o gridare: “la scienza funziona!” o sbattere sul tavolo grafici e tabelle» non basta di per sé a ristabilir­e l’autorevole­zza della scienza rispetto alla politica. Forse è arrivato davvero il momento di ricostruir­e un nuovo rapporto tra scienza e politica, non solo sul piano tecnico ma anche e soprattutt­o su quello culturale, che vada al di là dell’utilità reciproca e dello scambio tra risorse e risultati pratici e tenga conto dei profondi cambiament­i intervenut­i dal secondo dopoguerra a oggi. È inevitabil­mente un obiettivo di lungo periodo. Ma se non cominciamo a lavorarci oggi, la crisi tra scienza e politica sarà destinata ad aggravarsi con gravi conseguenz­e per entrambe, oltre che per tutti noi.

@Massibucch­i

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