La rappresentazione del sacro: un antico dilemma per la tv
D urante la festività pasquale è consuetudine mandare in onda film di argomento cristologico: «La tunica» (Tv2000), «Risorto»(rai1), «Paolo, apostolo di Cristo» (Sky Cinema), ecc. È possibile conciliare il sacro con il linguaggio del cinema o della tv che è espressione tipica del profano, della volontà di potenza del visibile?
Il problema si è posto più volte nella storia del cinema e, più in generale, nella storia della rappresentazione: rende più giustizia alla sacralità del tema un film come «La tunica», a soggetto sacro, o un qualunque film di Robert Bresson, a soggetto laico? La disputa è antica. Il teologo Romano Guardini (1885-1968), molto amato da Joseph Ratzinger, era contrario alla rappresentazione di Cristo nel cinema: la sua personalità attinge al mistero che il cinema è in grado di riprodurre «solo con trucchi, è simulazione di un falso mistero».
Questa posizione — hanno osservato altri teologi — non tiene però conto di un dato fondante dell’immagine: il suo potenziale simbolico, che è rinvio ad altro, suggestione del mistero. Il film non può e non deve dimostrare o «rappresentare» la divinità di Cristo; piuttosto è dalla rappresentazione dell’umanità di Gesù che sgorgano tratti evocativi del mistero. La Bibbia non è un libro edificante, è una testimonianza di rivelazione, è una memoria attestatrice che si complica quando entra in circolo nel contesto mediatico. Nel momento in cui i suoi racconti vanno in scena diventano un oggetto di contesa e di desiderio, cioè immaginazione. È curioso notare come il termine «sacro» , risalendo alla sua origine etimologica, significhi separazione e indica che «è sacro ciò da cui si deve stare lontani». Il termine televisione invece indica avvicinamento, prossimità, guardare da lontano. Forse, anche per i media, vale l’osservazione di Elias Canetti: «Anche se tu non la leggi, tu sei nella Bibbia».