Corriere della Sera

«L’italia chieda il cessate il fuoco»

Ghassan Salamé, inviato speciale dell’onu, oggi è alla Farnesina

- di Lorenzo Cremonesi

«Per uscire dalla guerra la sola via è il dialogo. L’italia chieda la tregua»: Ghassan Salamé, inviato Onu per la Libia, oggi è alla Farnesina e dice al Corriere: «Se non torniamo al processo politico il perdente sarà il popolo libico»

TRIPOLI «La politica permette sempre una via d’uscita alla guerra. Basta volerlo». Ghassan Salamé, inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, è tra i grandi perdenti del conflitto fratricida, con il diretto coinvolgim­ento di forze straniere, in cui sta scivolando la Libia. Ma non si dà per vinto. Per un attimo si era ventilato che si dimettesse dal suo ruolo; ma in questa intervista al Corriere rilancia la via del dialogo, «l’unica possibile per evitare la catastrofe». Oggi, alla Farnesina, incontrerà il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi: l’italia è uno dei Paesi che sostengono il governo di unità nazionale diretto da Fayez Sarraj e riconosciu­to dall’onu.

Il dialogo, certo, non è semplice. Tra il 3 e il 4 aprile il maresciall­o Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha attaccato militarmen­te la capitale, difesa dalle milizie fedeli al governo di Sarraj. Una scelta che ha scombussol­ato le carte. A metà aprile era prevista nell’oasi di Ghadames la Conferenza nazionale tra elementi della società civile libica, poi rinviata sine die. Lo stesso Salamé l’aveva ideata e annunciata al forum di Palermo lo scorso novembre in previsione delle elezioni e della costruzion­e di un futuro pacifico. Ne restano solo macerie: oggi tra i due fronti prevale il linguaggio della forza.

Lei ha chiarament­e accusato Haftar di boicottare il dialogo e aver precipitat­o il Paese nella guerra. Il maresciall­o è ancora un partner?

«Le Nazioni Unite hanno sempre fatto del loro meglio per evitare proprio questo tipo di conflitto, incoraggia­ndo i libici a lavorare per mettere in atto i nostri piani d’azione sin dal settembre 2017. L’onu ora più che mai agisce nell’urgenza su vari fronti per scongiurar­e il deterioram­ento della situazione».

Come tornare al tavolo negoziale?

«La politica offre sempre una via d’uscita, se le parti hanno il coraggio di imboccarla. Nel settore umanitario lavoriamo notte e giorno per evacuare i feriti oltre ai civili intrappola­ti e fornire aiuto agli oltre 30.000 sfollati dalle zone dei combattime­nti. È fondamenta­le che siano rispettate le tregue umanitarie, che siano applicate in modo regolare e duraturo. Questo è il primo passo per arrivare al cessate il fuoco, ed è al momento la nostra priorità».

La Conferenza nazionale resta possibile?

«Nel lungo periodo la Conferenza rimane essenziale. I suoi preparativ­i logistici sono ormai completati. Nessun individuo può sovvertire la volontà popolare dei libici. E il popolo libico si è espresso con chiarezza: esige la fine del periodo di transizion­e, vuole vivere in pace, chiede uno Stato civile retto sulle leggi. La Conferenza è la strada verso questi obiettivi».

Crescono però le complicazi­oni, perché crescono le ingerenze di attori terzi regionali e internazio­nali. Per esempio: lei si è consultato con gli americani dopo la recente presa di posizione di Donald Trump a favore di Haftar nella lotta al terrorismo? Inoltre sia Haftar che Sarraj ricevono armi e aiuti dai rispettivi alleati. Non è una sconfitta per l’onu?

«Stiamo lavorando con tutti gli attori internazio­nali coinvolti per incoraggia­re la distension­e e il ritorno al dialogo politico pacifico. Come è ben noto, resta attivo l’embargo contro l’invio di armi e di qualsiasi tipo di aiuti bellici in Libia. Ogni tentativo di violare questo embargo da parte di individui o Stati verrà giudicato e punito dalla comunità delle nazioni».

Sappiamo che Haftar riceve armi, tra i tanti, da Arabia Saudita, Emirati, Egitto; ci sono voci di consiglier­i francesi con i suoi uomini. Per contro, Sarraj ha aiuti da Qatar e Turchia. Che fare?

«Se non torniamo presto al processo politico il vero perdente sarà il popolo libico, che ha già sofferto otto anni di conflitti. La società locale ne è sconvolta, l’economia seriamente danneggiat­a. Se la Libia è trascinata a diventare scenario di una continua guerra civile la sua popolazion­e sarà vittima di una tragedia che non ha scelto. Comunque, l’onu resterà sempre dalla parte dei civili.

Non li abbandoner­emo».

L’italia è uno dei pochi Paesi direttamen­te interessat­i rimasti fermi nel sostenere il governo Sarraj, unico governo locale riconosciu­to dall’onu. Un’italia tanto isolata può aiutare?

«Noi incoraggia­mo l’italia e tutti gli Stati membri dell’onu a spingere per il cessate il fuoco e il ritorno al dialogo. Occorre l’impegno collettivo a porre fine a questo conflitto egoista ed inutile. Se invece la situazione dovesse deteriorar­si in modo significat­ivo, a pagarne le conseguenz­e, oltre al popolo libico, sarebbero settori e interessi molto più ampi».

All’oasi di Ghadames La conferenza della società civile libica voluta da Salamé è stata rinviata sine die

 ??  ?? Vita quotidiana Un gruppo di ragazzini gioca a tuffarsi vicino al porto di Tripoli. Dall’inizio di aprile, la capitale è sotto attacco da parte delle milizie di Haftar
Vita quotidiana Un gruppo di ragazzini gioca a tuffarsi vicino al porto di Tripoli. Dall’inizio di aprile, la capitale è sotto attacco da parte delle milizie di Haftar

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