Ajax, la rivincita sugli eroi greci
Icampioni danzanti dell’ajax come successori degli eroi greci. I campioncini di oggi, forzuti e veloci, indomabili e instancabili, ricordano il gigantesco Aiace, eroe dalla potenza bruta.
I l nome Ajax, attribuito alla squadra nell’anno 1900, risente del modo in cui all’epoca si guardava al gioco del calcio. Come a una cosa forzuta, da energumeni, a somiglianza dei coevi Lokomotiv o Spartak. Da questo punto di vista Ajax era una scelta perfetta. Aiace infatti, gigantesco, era l’eroe della potenza bruta, tutto stupore e ferocia, avrebbe detto poi Giambattista Vico. Rancoroso e melanconico anche, come spesso sono gli omaccioni. Eterno secondo, sempre dietro ad Achille e morto lui neanche giudicato degno di ereditarne le armi. Gli preferirono Ulisse, quel furbastro, del resto erano Greci. Ma nella sua storia l’ajax inteso come squadra ha avuto ben poco a che fare con Aiace. Intelligenza, non forza. Danzatori, non lanciatori del peso. Per contro non ci sono dubbi su chi sia la moderna incarnazione di Achille. Cristiano Ronaldo non è un supereroe (che volgarità!) ma un eroe vero, un eroe classico. Straordinarie virtù fisiche, quel lampo negli occhi che gli fa vedere semplicissime le cose più difficili, i tratti semidivini del soggiornare in un ampio assortimento di monti Olimpo e di Walhalla, dell’arrivare in volo e per di più su un mezzo di proprietà, dell’essere circondato da stuoli di ninfe, di coppieri e di serventi. E poi bello, bellissimo! Con la faccia da contadino centroitalico di Chiellini messa lì apposta per far risaltare lui. Il corpo statuario, il profilo perfetto, la morbidezza portoghese dei lineamenti e dell’eloquio quando dice «schcudetto» come se
fosse «sciare». Amato, amatissimo, guardato con concupiscenza da donne e uomini, anche qui come Achille, sempre a mezza via tra Briseide e Patroclo. A differenza di Achille però non sempre, o perlomeno non questa volta, vincitore. Grande rivincita di Aiace invece, attraverso i suoi danzanti successori, grande e segreta gioia di tutti gli umiliati e gli offesi, degli incapaci, degli sgraziati, dei brutti di tutto il mondo. Cioè della maggioranza. E di conseguenza grande sterzata (termine calcistico molto in voga di questi tempi per indicare un improvviso cambiamento di direzione) grande sterzata dicevamo della pubblica opinione. Dalla sera alla mattina, letteralmente, via i peana, gli allori, persino i troni di spade. E al loro posto parole gravi, inusitate: incubo, fine di un’epoca, sovrastati, lezione, fine corsa, ribaltone, rabbia. Come ci è già altre volte capitato, ci svegliamo d’improvviso dal sogno di essere una grande potenza, calcistica in questo caso, e cerchiamo di farci perdonare i passati ossequi affondando la lama dell’analisi. Ma non stiamo forse esagerando con i toni critici, dice una prudente vocina? Controsterzata allora! Quando quattro giorni dopo la Juventus vince il suo ottavo scudetto consecutivo si rilucidano gli ottoni della fanfara, si sciolgono le campane a festa e alti si levano gli inni. Leggenda, capolavoro, mentalità pazzesca.
Cambio di rotta Dopo la sconfitta con gli olandesi, la squadra di Allegri ha vinto l’ottavo scudetto
Sono molto contento, dice l’achille nostrano, è stato un anno molto, molto buono. Il sostanziale fallimento, nelle parole di Allegri diventa un «dispiace». D’altra parte, si aggiunge con filosofia lapalissiana, non si può vincere sempre. Ma neanche mai, verrebbe da dire pensando all’europa, nella quale noi italiani, non juventini, non interisti, non milanisti, ma italiani, nel complesso e da un pezzo ci classifichiamo stabilmente al quarto posto. E forse, chissà mai, ci sarà qualche nesso tra la dittatura casalinga e l’impotenza esterna. Cesare, sprezzante com’era, sosteneva che era meglio essere primi nel villaggetto delle Alpi dove in quel momento si trovava che secondo a Roma. Ma anche essere primi nel paesello per otto anni, e dai e dai, alla fine viene un po’ a noia.