Quando l’italia si scusò per le parole di Calamandrei
«Ora e sempre Resistenza». Oggi e domani le bacheche dei social si riempiranno di questa frase e delle immagini della lastra di marmo sulla quale è stata impressa in tanti Comuni italiani. L’originale si trova nell’atrio del municipio di Cuneo. La sua affissione, avvenuta il 7 dicembre 1952, così come le parole che vi sono scolpite, non furono senza conseguenze.
Pochi mesi prima, il generale nazista Albert Kesselring, dal 1943 al 1945 capo delle forze di occupazione tedesche in Italia, condannato a morte per crimini di guerra, era stato graziato. Al suo ritorno a casa, dichiarò che gli italiani avrebbero dovuto dedicargli un monumento. Fu questa frase a ispirare Lapide ad ignominia, il componimento di Piero Calamandrei, padre costituente della Repubblica. «Lo avrai/camerata Kesselring/il monumento che pretendi da noi italiani/ma con che pietra si costruirà/a deciderlo tocca a noi...». Almeno l’ultimo verso, ora e sempre Resistenza, lo conoscono tutti.
Sergio Costagli è uno storico cuneese. Anche se lui, architetto in pensione, preferisce definirsi un semplice ricercatore. E frugando tra gli atti desecretati dell’archivio della Camera, ha trovato due documenti inediti. In un promemoria dell’ambasciata della Repubblica federale di Germania, datato 7 febbraio 1953, viene contestata la legittimità della lapide. «Tali dimostrazioni, a prescindere dagli attacchi contro Kesselring, sono inadatte ai tempi attuali, in quanto inutilmente riaprono vecchie ferite e minacciano di compromettere la cooperazione tanto necessaria nell’opera della comune difesa europea». Il ministero degli Esteri del governo guidato per la settima volta da Alcide De Gasperi rispose con una nota ufficiale, che in buona sostanza giustificava le proteste tedesche. «Seppur presa in autonomia», l’iniziativa del comune di Cuneo, viene definita «a parer nostro non molto felice» in quanto sarebbe un tentativo «di riversare su nuove situazioni il peso di torti altrui». I toni sono sfumati. Ma il senso è chiaro. Per quanto incomprensibile possa apparire oggi. A sessantasei anni da un’epoca di guerra fredda che faceva anteporre la ragion di Stato a quella della giustizia.