Contaminazioni in Val d’agri: in arresto dirigente Eni
Nel 2017 in Val d’agri ci fu ben più che la fuoriuscita di 400 tonnellate di petrolio da un serbatoio corroso. Ciò che si credette di scoprire all’epoca era soltanto una parte della verità: lo sversamento incontrollato era iniziato otto anni prima, e non da un solo serbatoio ma da quattro. Il greggio si era insinuato nella rete fognaria e aveva invaso il reticolo idrografico, contaminando 26 mila metri quadrati di acque sotterranee, ma soprattutto avvicinandosi fino a 2 chilometri dall’invaso Pertusillo, e cioè la fonte primaria di acqua per l’intera Puglia, sia per il consumo che per l’irrigazione. E l’eni ne era a conoscenza. È a queste conclusioni che è giunta la Procura di Potenza nell’inchiesta avviata circa due anni fa, dopo il casuale rilevamento di alcune quantità di idrocarburi nel depuratore poco distante dal Covi, il Centro Oli di Viggiano che fa parte degli impianti di estrazione e stoccaggio del greggio gestiti dall’eni in Basilicata. Le indagini dei pm Laura Triassi e Veronica Calcagno, coordinate dal procuratore Francesco Curcio e delegate ai carabinieri del Noe, hanno portato ieri all’arresto di Enrico Trovato, ex responsabile del distretto meridionale dell’eni, accusato, tra l’altro, di
L’ordinanza
Il giudice: «La società nascose i problemi». L’azienda: «Pronti a collaborare»
disastro ambientale, con altri 13 indagati. Il gip Ida Iura, nella sua ordinanza, si sofferma sul comportamento adottato dall’eni. A fronte di quelle fuoriuscite di greggio che avrebbero dovuto richiedere il fermo delle estrazioni, scrive il giudice, «è esistita una precisa strategia, attuata a livello locale ma certamente condivisa dai vertici di Milano, per nascondere i gravi problemi e le conseguenze che la corrosione aveva provocato, con condotte caratterizzate da una sconcertante malafede e spregiudicatezza». Lo scenario emerso dalle indagini era descritto già nel memoriale lasciato dall’ingegner Gianluca Griffa, ex responsabile del Cova, morto suicida in Piemonte nel 2013. Cova scriveva che gli fu «imposto di tacere», ma alla sua denuncia postuma non era stato dato seguito, fin quando non è stata recuperata dai pm lucani che l’hanno usata a supporto delle indagini. A loro e al Noe vanno ora i complimenti del ministro dell’ambiente Costa, mentre Eni fa sapere di essere pronta a collaborare con la giustizia.