Pioggia e temperature dal ‘700 a oggi Così le antiche stazioni aiutano il meteo
In Italia sei osservatori centenari. «Pochi fondi, ci affidiamo agli appassionati»
storici sono l’ossatura delle scienze climatiche e luoghi preziosi di cultura scientifica.
In Italia sei osservatori sono stati inseriti nell’elenco delle stazioni centenarie dall’organizzazione meteorologica mondiale, l’agenzia dell’onu che si occupa di clima e tempo atmosferico. Due si trovano a Roma, il Collegio romano e l’osservatorio di Vigna di Valle dell’aeronautica militare, due nelle Marche (gli osservatori Serpieri di Urbino e Valerio di Pesaro), il Collegio Carlo Alberto di Moncalieri (Torino) e l’osservatorio Ximeniano di Firenze. Altri tre sono in lista d’attesa: l’osservatorio Raffaelli di Casarza Ligure (Genova), il San Marcellino dell’università Federico II di Napoli e il Ferrajolo di Taranto.
Il nostro Paese, insieme a Svezia, Austria, Repubblica Ceca e Germania, ha gli osservatori più antichi del mondo. «Oltre a quelli citati, ci sono altre realtà in Italia che hanno più di due secoli di misurazioni. Alcune hanno iniziato nel XVIII secolo», aggiunge Iafrate. Gli osservatori sono anche centri viventi di storia della scienza, alcuni conservano strumenti storici del Settecento.
«I primi furono fondati in ambienti ecclesiastici, per decenni religiosi e parroci hanno effettuato misurazioni meteo», dice Daniele Cat Berro, della Società meteorologica italiana, che va a ricercare nelle vecchie parrocchie sulle Alpi piemontesi i registri ingialliti delle rilevazioni, importanti soprattutto per le misurazioni delle precipitazioni nevose. «L’importanza degli osservatori storici è la continuità dei rilievi nel tempo e sempre nello stesso posto con parametri costanti, omogenei e confrontabili», spiega Andrea Cantile, presidente dell’osservatorio Ximeniano e
Gli strumenti Una moderna stazione di rilevamento automatizzata come quella del Collegio Carlo Alberto di Moncalieri e lo storico meteorografo, completato nel 1867 su progetto di padre Angelo Secchi e installato nella Torre Calandrelli del Collegio romano, conservato al Museo Inaf di Monte Porzio Catone docente di cartografia storica all’università di Firenze. «Ogni giorno alla stessa ora si misurano temperatura, umidità, pressione, precipitazioni, vento, insolazione. Allo Ximeniano viene fatto dal 1756 e in modo ininterrotto dal 1812».
Oggi i dati meteo vengono registrati in automatico e digitalizzati, ma permane una dimensione umana per raccogliere le misure con strumenti tradizionali. Chi raccoglie a mano dati meteo è un po’ come il guardiano del faro che accendeva ogni sera il segnale luminoso, anche se tutti i fari nel mondo ormai sono automatici. «Mantenere in attività le stazioni manuali è una sfida: ci sono pochi fondi e manca una visione unitaria nazionale. Ci si affida agli appassionati», prosegue Cat Berro, in servizio all’osservatorio del Collegio Carlo Alberto di Moncalieri. «Non c’è un impegno per mantenere gli osservatori centenari e proteggerli, come per esempio in Svizzera. Il riconoscimento Onu è una medaglia dal grande significato».
Di queste difficoltà, del rischio di disperdere un patrimonio storico e scientifico di valore, si è parlato a un convegno dello scorso marzo a Roma. «I dati sono conservati anche negli annali e nel bollettino meteo giornaliero», illustra Iafrate. «È una miniera di rilevamenti raccolti su schede in 3.600 faldoni che rappresentano 850 serie meteo nazionali, di cui una trentina continuative da metà Ottocento. Sono digitalizzati solo per il 20-25%, va completata l’opera: se c’è un finanziatore privato, si faccia avanti».
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I primi
Fondati in ambienti ecclesiastici, per anni i religiosi hanno fatto misurazioni meteo