La rivolta contro l’e-learning
«Il progetto voluto da Zuckerberg crea ansia tra gli alunni» Anche in Italia gli esperti si dividono
Scoppia una strana protesta in una remota scuola del Kansas. Il bersaglio non è un insegnante né un preside, ma un sistema all’avanguardia che prometteva di rivoluzionare la didattica. E che ha invece scatenato polemiche, ansie e stress tra gli alunni.
L’accusata si chiama «Summit» ed è una piattaforma di e-learning sviluppata in collaborazione con la «Chan Zuckerberg Initiative», la fondazione filantropica fondata da Mr. Facebook e consorte. Zuckerberg ha «dedicato» un team di ingegneri a realizzare lo strumento, che si basa sull’apprendimento personalizzato: i software analizzano il livello di preparazione dello studente e propongono il migliore percorso di studio per lui.
Tra le scuole pubbliche a cui la fondazione ha permesso di usufruire gratuitamente della piattaforma c’è anche quella di una piccola cittadina nello stato del Kansas, Wellington, dove l’istruzione pubblica ha pochi fondi e i risultati degli alunni sono inferiori alla media nazionale. Racconta il New York Times che otto mesi dopo l’arrivo del programma «Summit» da un sondaggio è risultato che il 77% dei genitori preferirebbero che i propri figli smettessero di usarlo e oltre l’80% degli studenti si dichiara perplesso riguardo al nuovo sistema. «Alcuni sono tornati a casa con il mal di testa e i crampi
alle mani. Altri hanno sviluppato ansie e stress». Conseguenze delle troppe ore davanti allo schermo e del senso di solitudine dato dalla mancanza di interazione con compagni e insegnanti. La piccola rivolta del Kansas ne segue altre qua e là nel Paese (da Brooklyn all’indiana) contro la piattaforma di Zuckerberg, ad oggi utilizzata da 74mila studenti in 380 scuole. A questo si aggiungono i dubbi sulla raccolta massiva di dati su comportamenti e attitudini di migliaia di minori.
L’ombra sulle potenzialità degli strumenti digitali in classe si sta allargando: nella stessa Silicon Valley da anni molti dirigenti scelgono per i propri figli un’istruzione tradizionale, lontano da schermi e da lezioni guidate dall’intelligenza artificiale. «La tecnologia è utile se ben impiegata. Bisogna trattarla con cautela. Se non ci sono professori preparati e infrastrutture adatte è meglio non usarla», spiega Enrico Nardelli, professore di informatica all’università Tor Vergata e coordinatore del progetto Programma il Futuro, creato dal Miur. E sui sistemi di personalizzazione dell’apprendimento rimane scettico: «È complicato organizzare una lezione e adattarla anche solo a una singola classe, dipende da molti fattori. Io non credo che la tecnologia dell’e-learning riesca ad essere così sofisticata».
Più positivo è Alfonso Molina, professore di Strategie delle Tecnologie a Edimburgo e direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale, che lavora per coniugare istruzione e innovazione: «Se una piattaforma si utilizza in forma esclusiva e l’interazione con l’insegnante si riduce al minimo non va bene. Ma associato ad altri metodi didattici, è un elemento che arricchisce. Personalizzare l’istruzione permette di avere studenti più motivati». È una grande sfida e non porta all’alienazione davanti al pc, assicura Molina: «Personalizzare non significa affidare l’istruzione a uno strumento, ma raggruppare un insieme di attività adatte allo studente». Per farlo al meglio, sono fondamentali gli insegnanti: «Dovranno diventare dei direttori d’orchestra, gestendo strumenti diversi, digitali e non».