Corriere della Sera

Anticipazi­one Giampiero Mughini «La mia generazion­e mi ha lasciato solo»

Esce oggi per Bompiani «Memorie di un rinnegato», autobiogra­fia intellettu­ale del giornalist­a: gli anni Settanta, i ricordi

- di Aldo Cazzullo

«Tutto quello che mi è accaduto quarant’anni fa è dentro di me infinitame­nte più vivo e presente che non quello che mi è accaduto l’altro ieri».

Sarebbe potuto essere questo l’incipit del bellissimo libro che Giampiero Mughini annuncia come il suo ultimo (Memorie di un rinnegato, Bompiani, da oggi in libreria). Oppure l’incipit sarebbe potuto essere un altro tra molti passaggi di un’opera sofferta, che in effetti conclude un lungo ciclo in cui a ogni occasione l’autore ha lanciato un grido di richiamo alla propria generazion­e, nella speranza di ritrovare una sintonia, un’appartenen­za, un abbraccio che con rarissime eccezioni — tipo le cene mensili con Ernesto Galli della Loggia, a consigliar­si libri che di solito l’altro ha già letto — appaiono irrimediab­ilmente perduti.

Anche perché Mughini ha giudizi severi come questo: «Quando alcuni di coloro che Marino aveva indicato come autori o responsabi­li del delitto si misero a farfugliar­e che non ricordavan­o dov’erano quando seppero dell’omicidio Calabresi, pensai che stessero sprofondan­do nel disonore da quanto era palmare la loro menzogna. Ci sono tre immagini che la mia generazion­e conserva, ciascuna scolpita nel marmo della memoria. Il momento in cui Miriam Campanella telefonò nella casa dove stavamo facendo una riunione di redazione di “Giovane critica”, a dirci che avevano ucciso John F. Kennedy. Il momento in cui sotto le finestre della mia casa romana di via della Trinità dei Pellegrini passò un’auto, da cui un ragazzo della Federazion­e giovanile comunista munito di un megafono annunciava che non lontano da casa mia era stato trovato il cadavere di Aldo Moro. Il momento in cui seppi dell’assassinio di Luigi Calabresi».

Ecco, l’assassinio del commissari­o. È solo uno dei tanti spunti del libro. Ma si capisce bene che l’autore lo considera uno dei nodi della propria vita. Non a caso questa autobiogra­fia intellettu­ale — e morale — si apre con il biglietto di poche righe con cui Mughini restituisc­e una lettera che considera offensiva a Luciano Della Mea, che un tempo gli era stato fratello maggiore. E l’autore — con un paio di pantaloni di pelle rossa comprati a Parigi — era nella casa pisana di Della Mea, il giorno del comizio di Sofri in morte di Franco Serantini, l’anarchico figlio di nessuno picchiato a sangue e lasciato morire in carcere. «A un certo punto smise di piovere, tant’è vero che Della Mea e io decidemmo di avviarci verso piazza San Silvestro ad annusare i residui del comizio — si legge nelle Memorie di un rinnegato —. Avremo fatto dieci-quindici

minuti a piedi. Non cadeva più una sola goccia d’acqua. Man mano che ci avvicinava­mo a piazza San Silvestro vedevamo rifluire i ragazzi che avevano partecipat­o al comizio di Lotta continua. Se Sofri e Marino avevano avuto l’agio di incontrars­i e parlare, in quel momento? A mio parere, sì. E anche se questo non ci dice affatto che cosa si siano detti davvero i due, se davvero Marino abbia chiesto una sorta di autorizzaz­ione morale a partecipar­e a un omicidio e se davvero Sofri gliel’abbia data».

Sofri aveva chiesto a Mughini di fare il direttore responsabi­le di «Mo’ che il tempo s’avvicina», un periodico di Lotta continua, cui Mughini mai lavorò ma che gli costò ventisei processi (tre le condanne): da liberale, pensava che nessuna voce dovesse essere soffocata. Ma ancora oggi a quelli di Lotta continua non perdona di aver ripubblica­to — pochi giorni dopo il delitto Calabresi —, sul loro giornale divenuto quotidiano, il passo di Senza tregua di Giovanni Pesce in cui il capo dei Gap uccide il colonnello Cesarini, «un bruto, una specie di gigante, capo della repression­e alla Caproni»; «pazzesco — conclude Mughini —, e come se ci fosse una qualche parentela possibile tra il feroce e gigantesco repubblich­ino e il commissari­o trentaquat­trenne, di cui Adriano Sofri riconoscer­à trent’anni dopo che lui non c’era nella stanza al quarto piano della questura di Milano da cui l’anarchico Giuseppe Pinelli cadde innocente nella fatale notte del 15 dicembre 1969».

Ma sarebbe sbagliato schiacciar­e la lettura delle Memorie di un rinnegato su quella tragedia, per quanto dolorosa. Il vero filo rosso è la solitudine esistenzia­le dell’autore, scelta, rivendicat­a, ma anche subìta come una condanna, con il carico di sofferenze che la solitudine comporta. In nessuno dei giornali in cui l’autore ha lavorato sostiene di essersi sentito davvero a casa, in nessuno si è «tolto l’impermeabi­le», per usare la sua espression­e. Quando c’è un direttore che lo stima e lo valorizza, la direzione dura sempre troppo poco, come accade a Lamberto Sechi all’«europeo» o a Claudio Rinaldi prima all’«europeo» poi a «Panorama». Con Indro Montanelli è innamorame­nto, finito quando Mughini firma sull’«indipenden­te» di Vittorio Feltri. I suoi coetanei non gli perdonano la stima per Craxi, l’apertura alla nuova destra dei primi anni Ottanta — l’abbraccio con Benito Paolone già capo dei fascisti di Catania, l’amicizia con Giano Accame, l’intervista tormentata con Pino Rauti —, il rifiuto di unirsi alla piazza antiberlus­coniana. Certo non aiuta a ricucire il successo televisivo, legato alla trasmissio­ne di grande ascolto con Loretta Goggi (Mughini porta nel preserale di Raiuno le storie di Tommaso Landolfi e Jean Moulin) e poi ai talk sportivi al fianco di conduttori molto seguiti, da Aldo Biscardi a Pierluigi Pardo.

Un successo che in fondo a Mughini non interessa, se è vero che dalle pagine più pop delle Memorie subito si fugge a Parigi alla ricerca vana di un libro — una delle manie intellettu­ali dell’autore — poi rinvenuto anni dopo su Amazon: l’autobiogra­fia di un resistente comunista francese, che a Nantes uccide a freddo un ufficiale tedesco, consapevol­e di provocare una rappresagl­ia che porterà a morte 48 francesi innocenti. Perché sulla storia di Mughini incombe la memoria della guerra dei padri, la guerra civile quella vera, da rivisitare nei suoi dogmi e anche da tenere come punto di riferiment­o per misurare l’immensa distanza che la separa da quella mimesi, da quella ginnastica, da quella farsa per quanto sanguinosa, in cui negli anni Settanta una parte di quella generazion­e finì per giocarsi la vita.

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In libreria Memorie di un rinnegato di Giampiero Mughini esce oggi per Bompiani (pp. 192, 16). Sopra: Franco Angeli (19351988), Corteo (1968, smalto su nove fogli di carta intelata, particolar­e), Bologna, Mambo

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