Torre Maura dopo il caos Spunta la sinistra anti rom
Roma, tra rifiuti per strada e lampioni rotti. L’elettore dem: «Ci ammazziamo tra noi»
La matricola del lampione è peggio d’un sudoku, ma lui se l’è imparata quasi a memoria per quante volte l’ha recitata invano al telefono: «01KIAC48… Tre mesi che chiamo, ma niente, sbatto sui call center e quelli non vengono mai», sospira Sergio Becattini. «Quelli», nello specifico, sarebbero l’acea, ma in generale diventano una metafora della distanza siderale tra i dolori della gente di Torre Maura e coloro che, potenti e lontani, potrebbero alleviarli.
La caccia ai rom
Che poi, ammettiamolo, non è che riparando una lampadina all’angolo di via delle Alzavole hai risolto il disastro di questa borgata da dove, quasi due mesi fa, è cominciata la caccia ai rom nella capitale d’italia. «Passati i nomadi, i fascisti e la protesta, i guai rimangono», ammette Sergio, che a 79 anni s’è trasformato da autista comunale in pensione a leader informale del comitato inquilini delle case popolari Isveur, epicentro della rivolta. Roma è del resto una città dove le rogne non finiscono, si trascinano, sfarinandosi nelle buche dell’oblio come l’asfalto di via Tobagi e della Casilina qui accanto. Ma lui su quel lampione s’è impuntato e non solo simbolicamente: all’incrocio passano correndo decine di bambini e pure correndo passano le macchine, sicché nei bui pomeriggi d’inverno può scapparci la tragedia.
Da bisnonno amorevole («il secondo bisnipote è in arrivo...») è sensibile ai bambini, lui. Con qualche eccezione, forse, ma questo appartiene alle metamorfosi che un pessimista come Le Bon studiava sugli individui trasfigurati nella folla. La sera del 2 aprile al Centro d’accoglienza Usignolo ce n’era una trentina, di bambini, tra i 70 rom trasferiti qui incautamente da Virginia in pensione, è uno dei leader del comitato inquilini. Vota Pd, ma il giorno della rivolta contro i 70 rom del centro di accoglienza era tra i residenti che protestavano Raggi. E Sergio, che vota pure Pd, era in mezzo ai ribelli aizzati da Casapound, strillando in favore di telecamera che quei rom «potevano bruciarli a Torre Angela» (precedente domicilio dei poveretti). Ciò non fa di lui un razzista. Angelo, che regge quasi da solo la sezione del Pd inaugurata pochi giorni fa da Zingaretti a Casal Bruciato, seconda tappa della caccia capitolina ai nomadi, lo dice del suo quartiere, ma vale per tutti, nella Roma Est imbottita di cent r i d’accoglienza e campi rom: «Questi non so’ razzisti, so’ stanchi».
Guerra tra poveri
Ed è la stanchezza a spiegare il contrasto persino visivo tra il Sergio di quella notte e il Sergio che ci accompagna attraverso le macerie delle case Isveur di piazzale delle Paradisee e dintorni — 400 appartamenti (80 occupati abusivamente), oltre un migliaio di inquilini del Comune — e ammette che «non ha senso prendersela coi rom, perché qua ci ammazziamo tra di noi» (un signore del quarto piano, per dire, ogni volta che l’ascensore si blocca, e capita spesso, prende a martellate la pulsantiera…).
Sotto il raccordo
I 70 rom sono stati dispersi. Molti andarono a rifugiarsi sotto il vicino raccordo anulare già la notte che il Comune, subito cedendo alla piazza inferocita, li mandò via. Svaniti. Al Centro Usignolo resta una cinquantina di migranti (c’erano già, prima dei rom). Nella mattina di sole due ghanesi e un nigeriano si scaldano sul muretto, ma non è una pacchia, dicono, vorrebbero imparare l’italiano o lavorare però al centro (tagliati i fondi) rimediano giusto da mangiare e dormire, «e in sei mesi ci buttano fuori» (altri invisibili di domani…).
Nelle nove scale del complesso Isveur cadono ringhiere, marciscono pilastri e cantine, gli alberi piombano sulle macchine in sosta, l’acqua invade le trombe degli ascensori, hanno passato 4 mesi senza riscaldamento («ma lo paghiamo»). Silvana Di Molfetta, una giovanissima mamma, racconta di come ha svuotato la fogna assieme a due amiche «perché il Comune non manda nessuno». Nel viale c’è un sacco dell’immondizia marcio che hanno «adottato» perché ha il record di permanenza, sta lì da marzo, e non lo tolgono, davanti a noi l’ama si è rifiutata di prenderlo. Ciò che il Comune toglierebbe sono i mezzi pubblici, sicché la gente ha fatto una manifestazione per non farsi privare dell’autobus 81.
Questa sottrazione di servizi e questa moltiplicazione di scorie scavano nelle anime e nelle famiglie. Salvatore, «compagno socialista con tessera del 1975», dice che non sopporta i rom e che quei 70, appena arrivati, lo avevano proprio annunciato, «noi Degrado Sopra l’ingresso dello Sprar di Torre Maura. Sotto una delle tante immagini di degrado e sporcizia nella zona delle case popolari rubiamo», perciò sarebbe cominciata la rivolta. Vive però come una specie di contrappasso il figlio che gli è «diventato fascista e s’è candidato con la Meloni», lui non se l’è sentita di votarlo un anno fa ma si porta dentro come una colpa questo tradimento: «Non scriverlo».
Il lavoro sporco
Casapound fa coi rom un lavoro sporco che sotto sotto non dispiace troppo neppure alla sinistra da queste parti. Umberto, 72 anni, «comunista», gestisce il circolo Arci Carlo Levi di Casal Bruciato, l’altra casella della rivolta romana (65 gli indagati, con Torre Maura): adesso vota Cinque Stelle, detesta Renzi, ma detesta di più i rom, «esseri inutili», dice, «Salvini non ha tutti i torti».
In via Satta 20 ci sono ancora gli Omerovic: la famiglia di papà, mamma e 12 bambini entrata tre settimane fa legittimamente in un alloggio al secondo piano e aggredita da Casapound e residenti. Imer Omerovic dice che non è finita, ogni notte gli bussano verso le due alla porta gridando «dovete andarvene!»: gente del palazzo perché, quando lui si affaccia poi in strada, fuori non c’è nessuno. Imer così ha paura e ha lasciato i dieci figli più piccoli al campo di Ciampino da cui venivano, è una situazione in bilico, lui dice che «non sa» se resisterà. I vicini temono che arrivino «non solo i dieci bambini ma anche amici e parenti», che insomma il cortile si trasformi in un campo nomadi e comunque la dirimpettaia ha la casa di proprietà e si domanda cosa farsene ormai.
Il nodo graduatorie
Persino nel circolo Pd ammettono che il sistema delle graduatorie per le case popolari va cambiato «perché penalizza gli italiani». Nessuno vorrebbe gli Omerovic sul pianerottolo (ma questo lo sussurrano solo). Anna Rosa Maggini ha contribuito a cacciare altri Omerovic dalla vicina via Facchinetti: e però capisce questi Omerovic, perché trent’anni fa entrò coi crismi di legge nella sua casa popolare e gli abusivi di allora volevano ammazzarla: «Sono rimasta sei mesi barricata dentro coi bambini, la storia si ripete, cambiano solo le facce». Ma in cima al casermone Isveur di Torre Maura c’è un terrazzo sgarrupato, molto panoramico, da dove si contemplano errori e orrori della nostra edilizia popolare, da Tor Bella Monaca a Tor Sapienza: da lassù, l’illusione ottica di un continuum, che invece è pieno di voragini e interstizi urbani dove, no, non cambiano solo le facce. Cambiano le anime, e spesso cambiano in peggio.
L’ira del socialista Salvatore, iscritto al Psi dal 1975, non li sopporta perché hanno detto: «Noi rubiamo»