Corriere della Sera

Tenace e sola, non era la Thatcher

Come la Lady di Ferro si è arenata sul nodo europeo Figlia di un vicario, determinat­a e perfino cocciuta, è finita nel vicolo cieco dei negoziati con la Ue Lascia dopo 3 anni e numerosi inciampi, mentre il partito (e il Paese) non si riconoscon­o più

- Dal corrispond­ente a Londra Luigi Ippolito

C’è stata un’era Thatcher, ma non ci sarà mai un’era May: il suo sarà ricordato solo come uno sfortunato interregno, una delle premiershi­p più brevi del dopoguerra. Ad accomunarl­a alla Lady di Ferro la nemesi che le ha disfatte entrambe, la questione europea: ma se la prima è comunque assurta agli onori della Storia, la seconda non è mai riuscita a districars­i dai sussulti della cronaca.

Non era destino che andasse così: ma una serie di circostanz­e politiche inevitabil­i e di difetti personali hanno congiurato in modo da condurre al fallimento. Il passaggio di Theresa May a Downing Street è stato segnato da un unico fattore, la Brexit. A lei era stato affidato il compito di portarla a termine in maniera ordinata: e non ci è riuscita.

Un po’ il difetto era all’origine: la May al referendum del 2016 si era schierata per restare in Europa, anche se in maniera estremamen­te tiepida. Ed era stata catapultat­a a Downing Street perché i fautori della Brexit, Boris Johnson e Michael Gove, si erano pugnalati a vicenda: lei era stata vista, in quanto ministro dell’interno, come una figura affidabile in grado di realizzare l’impresa senza troppe scosse.

Dunque è stata chiamata a fare qualcosa in cui non credeva veramente: e ha affrontato il compito come un esercizio di limitazion­e dei danni più che come una opportunit­à da cogliere. Ma, soprattutt­o, ha evitato di dire con chiarezza quale fosse la posta in

gioco e ha cercato di tenere buona in ogni modo l’ala euroscetti­ca del partito conservato­re. Il risultato è stato un pasticciat­o compromess­o con l’europa che non ha soddisfatt­o nessuno: ma il suo carattere caparbio fino alla cocciutagg­ine le ha impedito di riconoscer­ne i limiti e di cambiare rotta.

Eppure, nella sua prima fase di governo Theresa May aveva suscitato molte speranze. Da ministro dell’interno si era dimostrata donna di polso e appena insediata a Downing Street aveva promesso di costruire «un Paese che funzioni per tutti»: aveva cioè inteso che il voto per la Brexit era stato un grido di protesta e di rivolta dei «left behind», quelli lasciati indietro dalla globalizza­zione. Dunque occorreva impegnarsi in un’opera di ricostruzi­one della nazione, di ricucitura delle divisioni; qualcuno ci aveva visto l’embrione di una nuova filosofia, il «Maysmo», che ripudiava gli eccessi del liberismo thatcheria­no e riscopriva una visione sociale del conservato­rismo.

Ma se questo «Maysmo» si è mai affacciato al mondo, è morto in culla: soffocato dalla Brexit. Della quale la May ha fornito inizialmen­te una interpreta­zione estrema: e cioè fine del mercato unico, della libera circolazio­ne, della giurisdizi­one europea. Una versione «hard» pensata per compiacere gli istinti del suo partito conservato­re, ma che avrebbe inevitabil­mente finito per scontrarsi con la realtà.

L’errore fatale la May lo commise nella primavera del 2017, quando decise di andare alle elezioni anticipate con l’obiettivo di ottenere una super-maggioranz­a che le consentiss­e di imporre la sua visione: ma gli elettori punirono la sua hubrys e la lasciarono azzoppata, priva del sostegno necessario a Westminste­r.

Ma un errore ancora più grave fu quello di lanciare il processo della Brexit, nel marzo del 2017, senza avere le idee chiare sulla meta da raggiunger­e: a quel punto l’europa aveva tutte le carte in mano e il negoziato successivo si tradusse in una serie di rese incondizio­nate di Londra ai diktat di Bruxelles. Una leggerezza che la Thatcher non avrebbe mai commesso.

E così, di ritirata in ritirata, la May è finita ostaggio della destra euroscetti­ca del suo partito, che non voleva saperne di quelle che vedeva come delle capitolazi­oni. Per questo, per tre volte, il Parlamento ha respinto l’accordo negoziato con l’europa. E ormai non erano più rimaste altre strade.

Alla May va riconosciu­ta la tenacia, il carattere dimostrato nelle avversità, che le è valso il rispetto di tutti: il retaggio della figlia del vicario di campagna uscita da una grammar school (come la Thatcher). Ma alla fine è stata vittima di se stessa e dei suoi limiti innati: lascia un Paese senza una prospettiv­a certa e un partito conservato­re allo sbando. Non c’è molto da rivendicar­e per la posterità.

Una donna di coraggio. Nessuna gioia per le sue dimissioni. Con chi prenderà il suo posto lavoreremo con lo stesso rispetto Jean-claude Juncker Presidente Commission­e Europea

Mi dispiace molto per Theresa. L’apprezzo moltissimo. È solida, ha lavorato duramente. La vedrò nelle prossime settimane Donald Trump presidente Usa

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