I dolori del giovane Weber, candidato del mondo antico
La sua Baviera lo acclama, ma l’entusiasmo (e i sondaggi) sono in caduta
Manfred Weber è tornato a casa. Migliaia di chilometri e centinaia di manifestazioni da un capo all’altro dell’unione dopo, lo Spitzenkandidat dei popolari è venuto nella sua Baviera per chiudere la lunga corsa verso la presidenza della Commissione europea.
È un Ppe combattivo ma preoccupato, deciso ma cosciente della difficoltà del momento, quello che prova a dare l’ultima spinta al suo campione, prima del voto di domani. Traspare dal volto e dalle parole di Angela Merkel, che getta nella contesa il peso della sua autorità, nonostante i dubbi sul metodo dei candidati di punta e le differenze con Weber. «È in gioco la scelta della giusta via — dice la cancelliera —. L’europa è riuscita fin qui a mantenere la sua promessa di libertà, sicurezza, benessere e pace. Ma nei prossimi anni dovremo difendere i nostri valori dall’attacco dei nazionalisti. Oggi dobbiamo dire chiaramente che con noi popolari questi attacchi non passeranno».
Traspare dall’assenza di Sebastian Kurz, il cancelliere austriaco, il più entusiasta dei sostenitori di Weber, trattenuto a Vienna da una crisi che lunedì potrebbe perfino farlo cadere. E traspare dall’effetto di annuncio di un exit poll non previsto, quello olandese, che sorride ai socialisti e rilancia le loro ambizioni.
La rock-band dove Weber suonava da ragazzo, i filmati che lo raccontano come un capo di Stato, le ballerine che volteggiano sulle note di un valzer di Strauss, le bandiere dei 27 paesi dell’ue, l’inno alla Gioia straziato da un’esecuzione disco-music cercano di forzare un entusiasmo che non c’è. Né servono a suscitarlo i discorsi di Annegret Krampkarrenbauer, leader della Cdu, e dei due capi di governo popolari presenti, il croato Andrei Plenkovic e il bulgaro Boyko Borissov. Solo il grande Lech Walesa (per lui una standing ovation) e la cancelliera Merkel scuotono la platea.
Il candidato popolare, l’eterna aria del bravo ragazzo di provincia, ripropone i temi di una campagna che non lo ha visto brillare, soprattutto nei duelli con il principale avversario, il socialista Frans Timmermans: i confini sicuri, la collaborazione fra le intelligence nella lotta al terrorismo, il piano Marshall per l’africa, la lotta ai cambiamenti climatici, la difesa dello Stato di diritto.
A suo modo Manfred Weber appartiene già alla storia: è il primo bavarese a rivendicare la presidenza della Commissione europea. Se poi riuscisse veramente nell’impresa di succedere a Jean-claude Juncker sarebbe il primo tedesco in mezzo secolo a farcela. Ma le sue certezze finiscono qui. Perché i dolori del giovane Weber si accumulano e rischiano di essere molto acuti dopo il voto. In primo luogo, c’è l’incertezza di un risultato, Olanda docet, che potrebbe riservare sorprese. Il Ppe perderà voti, ma potrebbe perderne molti. Sicuramente in Spagna, Italia, Francia, probabilmente anche in Germania dove la Cdu è data intorno al 30% cioè 3 punti sotto il suo peggior risultato del Dopoguerra. In più c’è l’anomalia del voto britannico che porterà numerosi seggi ai socialisti e nessuno ai popolari. Se un sorpasso del Pse è improbabile, un testa a testa è possibile. Difficile dire in che modo Weber costruirebbe la sua maggioranza in queste condizioni. Lunedì sera ha convocato un vertice tra le grandi famiglie politiche a Bruxelles — popolari, socialisti, liberali e verdi — con l’obiettivo di formare un fronte intorno all’idea dello Spitzenkandidat. Non è detto sia il suo nome a metterle d’accordo, alla luce dei risultati.
Il tempo poi non è dalla sua parte, perché il giorno dopo, con tempestività sospetta, Donald Tusk ha invitato a cena i capi di governo: senza una forte indicazione dai gruppi del Parlamento, il Consiglio europeo potrebbe prendere atto che troppi governi, più o meno una dozzina, si oppongono a Weber, dalla Francia di Macron all’ungheria di Orbán. E scegliere di riappropriarsi della nomina.
Sullo sfondo, incombe il negoziato sulle altre nomine, dalla presidenza del Consiglio all’alto rappresentante, alla cruciale presidenza della Banca centrale. Una grande partita a scacchi, dove Manfred Weber potrebbe alla fine diventare una pedina da sacrificare all’interno di strategie più complessive.