Corriere della Sera

Schengen, il regno di Martina Kneip

- di Paolo Lepri @Paolo_lepri

Il regno di Martina Kneip — tedesca, nata a Friburgo, trasferita­si poi in Lussemburg­o -— non è immaginari­o. È quello che chiamiamo lo «Spazio Schengen», cioè quasi tutta l’unione europea. Principio fondamenta­le, la libera circolazio­ne dei cittadini: una conquista la cui forza innovatric­e è diventata col tempo una dimensione nella vita di ognuno. A suo giudizio, però, esiste il «pericolo» che la gente dia «tutto questo per scontato».

La direttrice del «Museo Schengen» non sbaglia. «L’idea di confini aperti era qualcosa di straordina­rio. Nessuno credeva veramente che sarebbe diventata realtà» ha detto a Deutsche Welle. Stiamo parlando del 1985, quando Belgio, Olanda, Lussemburg­o, Francia e Germania firmarono a bordo della «Principess­a Maria-astrid» un protocollo che prevedeva l’abolizione delle frontiere interne. I visitatori della struttura che Kneip guida con orgoglio («40.000 l’anno scorso, non solo dell’europa ») possono vedere immagini e materiali che documentan­o quella rivoluzion­e. Tra le altre cose, anche i vecchi berretti dei funzionari doganali dei singoli Stati. Simboli di un’epoca almeno in gran parte superata.

Da quel giorno di giugno, attraverso passaggi successivi, i Paesi Ue che fanno parte dell’accordo sono diventati ventidue ai quali se ne aggiungono quattro non iscritti al club bruxellese: un club al quale alcuni hanno chiesto di aderire — a Budapest e a Varsavia, per esempio — senza rispettarn­e le regole ma volendo goderne i benefici. Intanto, la nave ancorata nella Mosella, alla confluenza di tre confini poi aboliti, ha compiuto altri viaggi. Non sempre tranquilli.

Certamente tutto si può adeguare, anzi si deve, tenendo conto dei cambiament­i del mondo e delle legittime esigenze di sicurezza della popolazion­e. Qualche mese fa il presidente francese Emmanuel Macron, ha sostenuto che lo «Spazio Schengen» va «rivisto» perché «tutti coloro che vogliono partecipar­e devono osservare obblighi di responsabi­lità (il rigoroso controllo delle frontiere) e solidariet­à (la stessa politica di asilo con le stesse regole di accoglimen­to e respingime­nto)». Si può partire da queste due parole: responsabi­lità e solidariet­à.

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