«Avevamo perso l’anima» La rinascita di Sergio Rossi
Il ceo Sciutto: siamo ripartiti dalla fabbrica
Pensa che il segreto sia riuscire a vedere l’azienda come propria, Riccardo Sciutto, manager voluto da Andrea Bonomi (il suo fondo Investindustrial ha acquisito il brand dal colosso francese Kering nel 2016) per rivitalizzare Sergio Rossi, marchio di scarpe italiane conosciuto in tutto il mondo anche grazie a collaborazioni prestigiose (tra i primi a sperimentare il co-branding, già dagli anni Settanta) come Miguel Cruz, Laura Biagiotti, Gianni Versace, Krizia. Il brand, tuttavia, aveva perso fascino negli ultimi anni: «Quando sono arrivato — dice il ceo — mi sono trovato di fronte a una bella addormentata».
Lo sguardo e l’immedesimazione di Sciutto, però, hanno permesso a Sergio Rossi di raggiungere traguardi importanti in poco tempo: da un fatturato pari a 64,3 milioni nel 2018 (la speranza è mettere un 7 davanti alla cifra nel 2019) fino all’enorme successo del modello Sr1 — rilancio dell’iconica punta squadrata anni Novanta — che adesso fa il 50% del fatturato. «Era il mio sogno — spiega il ceo — che questo modello diventasse la nostra colonna. Insieme ad altre linee che stanno crescendo tantissimo: dalla Sergio alle
Qui sopra la nuova «Sr1 Amalia» di Sergio Rossi realizzata con la collaborazione della designer Marta Ferri. Sopra, un sandalo che proviene dall’archivio del marchio sneakers». L’ultima scommessa, in ordine di tempo, la capsule «Sr1 Amalia» con la designer Marta Ferri, che verrà presentata nello showroom milanese di via Pontaccio mercoledì prossimo. La piccola collezione (6 pezzi tra mules, slippers ed espadrillias che sperimentano materiali come raffia e velluto) è la prima di un progetto più grande (sr Addiction) che vedrà collaborazioni creative nelle varie stagioni, la prossima potrebbe essere con un famoso designer americano. Tra i pallini di Sciutto, anche gli investimenti in sostenibilità: interventi come cogenerazione, fotovoltaico, riciclo dell’acqua e rigenerazione degli scarti nella fabbrica di San Mauro Pascoli, in Emilia Romagna sono costati svariati milioni di euro. Lasciando presagire — «è una possibilità da non escludere» — di poter allargare la produzione ad altri marchi di lusso in futuro.
Opzioni di espansione quasi inimmaginabili pochi anni fa. «Si era persa l’anima — osserva Sciutto — ovvero la componente più importante quando si parla di prodotti italiani: confrontarsi con brand storici, infatti, non è mai una questione banale. Quando siamo arrivati, è servita una grande umiltà per rapportarsi con l’universo di Sergio Rossi e la sua storia. La sfida più bella è stata proprio riagganciare l’anima e farla rivivere in chiave moderna». Obiettivo raggiunto anche grazie alla conditio sine qua non di Sciutto alla chiamata di Bonomi — «senza, non avrei mai accettato» — ossia rivalorizzare il ruolo di San Mauro Pascoli: «Siamo ripartiti dalla fabbrica e dalla capacità di fare delle scarpe incredibili (120 passaggi in 14 ore di lavoro) quasi riappropriandoci di quella cultura. Ecco perché, tra le prime cose, abbiamo ricostruito l’archivio (un lavoro in divenire che ha già permesso di catalogare oltre 6 mila calzature e accessori prodotti in oltre 60 anni)».
Non a caso, ora, la fabbrica viene chiamata Magic Kingdom e le scarpe vantano estimatori come Katie Perry, Beyoncé e Chiara Ferragni. Investendo milioni per macchine da taglio di ultima generazione e valorizzando il lavoro dei 115 artigiani, molti dei quali attivi da più di 30 anni: «Memoria storica di Sergio Rossi alla quale abbiamo affiancato i giovani delle scuole locali per formare gli artigiani del futuro».