Oates, Keret e il librettista Tóibín Autori sulla Lettura, quasi un festival
Testi inediti dall’estero accanto a una riflessione di Alessandro Piperno sulla «volgarità» di Balzac
Signora della letteratura americana, Joyce Carol Oates racconta un libro (altrui) e ne approfitta per fare un ritratto a sorpresa del mondo contemporaneo mentre uno scrittore di stile come l’irlandese Colm Tóibín racconta il suo primo libretto d’opera del quale offre alcuni versi in anteprima. L’israeliano Etgar Keret propone un racconto. E la coreana Han Kang parla dei suoi racconti in uscita, uno dei quali è quasi il prequel a un libro rivelazione come La vegetariana.
Come in un festival letterario, sul nuovo numero de «la Lettura» #391, in edicola fino a sabato 1° giugno, si possono incontrare molti grandi scrittori con le loro storie, e molti giganti del passato raccontati da autori e critici di oggi. Si comincia con un omaggio a due dei cantori più grandi dell’epopea americana e dell’avventura umana in genere: Walt Whitman ed Herman Melville, entrambi nati cent’anni fa, nel 1819. Del primo, «poeta supremo», Emanuele Trevi esplora l’empatia e il senso dell’effimero. Di Melville invece scrive Roberto Galaverni, partendo da una nuova edizione delle Poesie di guerra e di mare (Mondadori) e raccontando l’arco creativo dell’autore di Moby-dick tra la Guerra civile e gli anni oscuri di ispettore al porto di New York. La saggista Brenda Wineapple racconta a Marco Bruna il carattere di entrambi, che emerge anche da due testi messi a confronto nelle pagine, entrambi su Lincoln.
Di altri due autori supremi si occupa Alessandro Piperno, commentando l’uscita di un saggio di Mariolina Bertini (L’ombra di Vautrin. Proust lettore di Balzac, Carocci):
La copertina de «la Lettura» #391 è dell’artista polacca ma londinese d’adozione Goshka Macuga (Varsavia, 1967). Sul numero anche il Cartellone delle mostre, la Locandina degli spettacoli e una graphic novel di Guido Rosa Proust lesse Balzac e lo trovò «volgare», quasi rozzo, impuro. Ma proprio l’impurità è il segreto, continua Piperno, di una costruzione romanzesca immane.
Joyce Carol Oates recensisce il libro di Ottessa Moshfegh Il mio anno di riposo e oblio (Feltrinelli, in libreria da giovedì 30 maggio): e solo alla fine lascia intendere quanto l’originale filìa della protagonista (che ama dormire e nient’altro) riguardi il mondo intero prima dell’11 settembre. E un’altra autrice ormai di culto, che ha dato vita a personaggi sofferenti e silenziosi, Han Kang, si racconta a Marco Del Corona, in occasione dell’uscita italiana di un dittico di novelle, Convalescenza (Adelphi), una delle quali anticipa temi e atmosfere de La vegetariana.
Parla della ricerca della felicità a occhi ben aperti, invece, l’opera Winter Journey, in scena al Massimo di Palermo il 4 ottobre: la musica è di Ludovico Einaudi, la regia di Roberto Andò, il testo di Colm Tóibín. Proprio lo scrittore racconta a Giulia Ziino l’opera che mette in musica le speranze dei migranti in fuga, con un coro da tragedia greca che si esprime pro o contro l’accoglienza.
Altri autori: Mauro Covacich, che si ispira al docu-film di Roberto Minervini Che fare quando il mondo è in fiamme? sul razzismo negli Usa per raccontare un altro razzismo, quello nelle nostre città. Dove è bene non indossare la «sciarpa» sbagliata nel posto sbagliato. Infine Etgar Keret narra che cosa i soldi possono comprare, e cosa no.